Subvertising e polemiche a Napoli. Che sta succedendo?
Manifesti con imprecazioni e bestemmie sono stati tappezzati per tutta la città di Napoli. Che cosa sta succedendo?
Tra i cartelloni dei candidati alle amministrative sono spuntate immagini che hanno scosso non poco l’opinione pubblica: esclamazioni blasfeme accompagnano il volto di Topolino oppure fanno da sponsor alle bottigliette di Crodino.
Ad affiggere i manifesti sono stati alcuni artisti che hanno preso parte alla mostra “Ceci n’est pas un blasphème”, esposta al PAN fino al 30 settembre. Si tratta di un Festival che ha l’obiettivo di promuovere la libertà d’espressione nell’arte, contro la censura religiosa. L’evento si sta svolgendo con la collaborazione e il patrocinio del Comune di Napoli.
Ma, diversamente dal sospetto di molti, i poster non sono stati autorizzati dal Comune, che infatti provvederà alla loro rimozione in quanto abusivi, né sono stati promossi dall’evento artistico.
A prendere le difese della mostra è immediatamente intervenuta Emanuela Marmo, direttrice del Festival: «Alcuni dei subvertiser in mostra al PAN per Ceci n’est pas un blasphème stanno lasciando a Napoli tracce della loro presenza. Si tratta di una loro spontanea e autonoma iniziativa, di cui so poco…».
Ma chi sono i subvertiser? E che cos’è il subvertising?
«I subvertiser non informano nessuno delle loro azioni, tanto meno chiedono il permesso: diversamente, la loro arte non si chiamerebbe subvertising» scrive bene Emanuela Marmo! Il subvertising è, infatti, una pratica che vuole contestare l’invasività dei messaggi pubblicitari e che punta a sovvertire il tradizionale significato di una pubblicità.
Le parole e l’annuncio vengono smantellate per poi essere ricostruite. La nuova creazione porta a messaggi parodici, critici e di denuncia, i quali possono essere molto forti e urtare la sensibilità dello spettatore: ma è proprio questo l’obiettivo!
Il subvertising sposta l’attenzione del fruitore da ciò che è abituato a vedere a ciò che sarebbe giusto vedere. Quello, dunque, che le potenti strategie di marketing riescono a nascondere ai nostri occhi, causando una completa assuefazione alle idee che pubblicità devianti e sbagliate inculcano nelle nostre menti.
È questo che i subvertiser vogliono fare: aprire gli occhi ad osservatori che non vedono, plagiati da manifesti bugiardi. Distruggendo lo sguardo incantato della massa, l’anti-pubblicità mette in evidenza le trame manipolatorie che sottendono i cartelloni, veicolando un significato diverso che possa porre fine all’illusione.
Le tracce più antiche della pratica si trovano già negli anni ’50 del secolo scorso, nelle attività di détournement, quando modificando riviste, fumetti e quant’altro, si procedeva a decontestualizzare brand e annunci, suscitando un effetto di shock e spaesamento.
«Messaggi pubblicitari che inoculano un uso erotizzato del corpo femminile e dell’infanzia, che promuovono canoni estetici frustranti e irraggiungibili per persone comuni, che associano la bellezza al possesso di beni inutili, costosi, classisti. Ecco, a tutti questi messaggi diseducativi e privi di etica, i cittadini non si contrappongono, se ne lasciano sedurre» aggiunge Emanuela Marmo, ed è contro tutto questo che si scaglia il subvertising.
I manifesti napoletani hanno creato scandalo e caos; sono nate polemiche e discussioni che hanno portato a critiche, offese, disgusto: missione compiuta. L’incantesimo è stato sciolto, l’osservatore adesso riflette e l’arte, quella libera, fatta di spirito critico e protesta, si è espressa.
Maria Paola Buonomo
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