Ezio Bosso e la teoria delle 12 stanze della vita
Approfondiamo la filosofia alla base dell’ultimo disco del compositore piemontese attraverso le sue parole
Il trait d’union delle composizioni di The 12th room, il capolavoro di Ezio Bosso, è un’affascinante e misteriosa teoria che conosciamo tramite le dichiarazioni del musicista.
Tutto ruota attorno al concetto di stanza:
“La parola stanza significa fermarsi, ma anche affermarsi. È una parola così importante eppure non ci pensiamo mai […] Sono così comuni nella nostra vita che le releghiamo ad essere vane chiamandole Vani. O le asserviamo chiamandole Camere. Le stanze dove si impara le chiamiamo aule. Che bel nome. Vuol dire libero, pieno di aria”.
Immergendosi nel pensiero riportato da Bosso, l’idea sposa quella del senso comune, di luogo in cui ci si sofferma, ma anche quella più ampia, dove la stanza è metafora del percorso di vita, uno spazio che si contrappone al tempo. Un luogo in cui si dimora fuori delle logiche temporali che tiranneggiano sulla nostra esistenza.
Dodici stanze, in cui lasceremo qualcosa di noi, come dodici le canzoni del disco, non a caso. Dodici luoghi musicali in cui l’autore ci accoglie, con diversi suoni, diversi colori, diverse luci, diverse sensazioni, proprio come diverse sono le camere, da cui è possibile entrare e uscire, passando da un ambiente all’altro.
Nell’esporre la teoria, il compositore si sofferma sul dolore, con la solita leggerezza che lo contraddistingue come uomo, prima ancora che come artista.
Paragona la sofferenza, legata alla propria malattia, a una stanza antipatica che gli ha dato tanto, ricordando che quello stello luogo nella vita di Chopin, ha ispirato i suoi famosi Preludi.
Nella teoria delle dodici stanze c’è naturalmente spazio per la musica. La prima associazione tra i due concetti, è quella legata alla musica da camera: Bosso cita Bach come primo compositore ufficiale di stanze, John Cage e una targa a Firenze che recita “Qui il 25 aprile la libertà ha ripreso stanza”, stanza intesa nell’ultimo caso come habitat di libertà.
“L’antipatica stanza mi ha fatto scoprire nuove possibilità del mio strumento che non avevo mai pensato. Mi ha fatto capire che il pianoforte è una stanza in cui si entra. E mi ha tolto un’altra rete di protezione che nemmeno pensavo di avere, facendomi fare la mia prima serie di concerti da solo. E sì, mi ha liberato.”
La libertà sembra il leitmotiv della vita del compositore piemontese che ha sfidato dal primo momento, con intelligenza e forza, una malattia debilitante. Adattandosi ad una nuova condizione di vita, è stato costretto a passare dal contrabbasso, il suo primo strumento, al pianoforte, mezzo grazie al quale Bosso ha trovato enorme successo internazionale.
Le dodici stanze non sono un percorso da cui non si fa ritorno, bensì un cerchio. A dominare è la ciclicità, il senso del ritorno e della permanenza.
“La dodicesima stanza non è l’ultima, è quella da cui si ricomincia, si rinasce, si cresce” dichiara poco prima di andarsene Bosso, come in un commovente testamento artistico. Ci ha lasciato in dono le sue camere immortali: lì la sua assenza, non può esistere.
Sara Picardi
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