Chi si ricorda di Argo?
Cercando fonti di ispirazione per un nuovo disegno mi sono chiesta cosa mi fosse rimasto impresso, cosa mi avesse colpita e segnata durante quelle interminabili ore di letteratura al liceo.
Me lo sono chiesta e ho iniziato a chiederlo in giro.
La prima risposta è stata: “Argo! Il cane di Ulisse!”.
“Così essi rea loro dicevano tali parole,
e un cane, lì sdraiato, levò la testa e le orecchie,
Argo, il cane proprio lui, l’animoso Odisseo,
senza vantaggio allevò, prima che per la sacra Ilio
partisse. Per il passato lo conducevano i giovani
a inseguire le capre selvagge, i cervi e le lepri;
ma ora, partito il padrone, abbandonato lì stava
tra molto letame di muli e di buoi, che davanti alla porta
gli stava ammucchiato, finché lo portassero via i servi
per concimare l’ampia campagna di Odisseo;
lì dunque il cane Argo giaceva, pieno di zecche.
E come allor riconobbe Odisseo che gli era vicino,
esso la coda agitò e lasciò ricadere le orecchie;
ma non poté più vicino andare al proprio padrone;
questi allora, guardando altrove, si terse una lacrima,
a Eumeo facilmente celandosi; e poi gli chiedeva:
” Eumeo, stupisce davvero che giaccia nel fimo un tal cane;
bello invero è d’aspetto, ma non so bene questo,
se oltre a tale bellezza fu anche veloce nel correre
o se fu quali sono degli uomini i cani da mensa,
di cui si prendono cura i padroni per puro ornamento”.
Ed a lui rispondendo, Eumeo pastore, dicesti:
“Questo purtroppo è il cane d’un uomo ch’è morto lontano.
Se tale nell’aspetto e nelle sue imprese ancor fosse,
quale qui lo lasciò Odisseo partendo per Troia,
l’ammireresti a vedere la sua prestezza e la forza.
Non gli sfuggiva mai tra recessi di selva profonda
la fiera ch’avesse scovata; ed anche sull’orme era bravo.
Oppresso or è nello squallore, lontano il padrone gli è morto
dalla patria, e accidiose non l’hanno a cuore le ancelle.
I servi infatti, quando non più li comanda il padrone,
più non hanno poi voglia di fare il proprio dovere:
perché distrugge metà del valore d’un uomo il tonante
Zeus, il giorno in cui schiavitù lo ghermisce “.
Poi che ebbe così parlato, entrò nella comoda reggia,
e dritto andò per la sala in mezzo ai nobili Proci.
Quanto ad Argo, lo colse il nero destino di morte
non appena rivide, dopo vent’anni, Odisseo.”
Odissea, libro XVII, versi 290-327
E voi, che passo portate nel cuore?
Illustrazione e didascalia di Marta Tramontana
Vedi anche: Perché studiare filosofia?