Cos’è l’appropriazione culturale? Parliamone!
Cosa si intende per “appropriazione culturale”?
Perché (non) se ne sente parlare?
Cultural appropriation o cultural appreciation?
Definire “appropriazione culturale” può risultare difficoltoso e problematico, soprattutto dal momento che il concetto è al centro di un quanto mai vivace dibattito internazionale, posto sotto accusa da chi lo ritiene frutto e manifestazione dell’esasperazione del politicamente corretto.
Il concetto di appropriazione culturale nasce in ambito accademico statunitense per indicare l’adozione di dottrine, immagini e simboli provenienti da una cultura che non solo non è la propria, ma che può essere ritenuta “minoritaria”, almeno da un punto di vista storico. Per meglio dire: quando la comunità dominante utilizza elementi di un gruppo sottomesso, allora si parla di appropriazione, perché forma di un’ulteriore oppressione. È una vera e propria sottrazione, che priva di dignità e, prima di tutto, d’identità.
Si tratta di un principio che, quando opportunamente analizzato, rivela tutto il suo sottotesto politico ed economico. Se la globalizzazione degli ultimi decenni ha favorito e velocizzato lo scambio interetnico, non ha altrettanto efficacemente prodotto quel rispetto e quella curiosità necessari affinché più culture possano convivere e insieme sopravvivere. Nasce, così, il problema del saccheggio culturale: il fine del prestito è puramente commerciale, i valori e i beni della cultura tiranneggiata sono sottoposti ad un processo di mercificazione. Del resto, è la nostra società dei consumi ad imporre il bisogno di vedere tutto solo nella prospettiva del guadagno che se ne può trarre. Feticismo delle merci.
Non è un caso che la questione abbia suscitato scalpore nei paesi che sopportano il peso di quei peccati per i quali non riceveranno mai redenzione: come due fantasmi, Colonialismo e Imperialismo vagano nel nord-America e nell’occidente anglofono, territori che devono scontare la pena delle bestiali mire di potere di cui furono colpevoli. E noi, oggi, siamo ancora responsabili per quei crimini e per quello che più contraddistingue la nostra società: l’indifferenza.
È vero che storicamente le culture si sono contaminate al punto da rendere complesso distinguere in modo chiaro le differenti appartenenze, ma è pur vero che l’errore del colonialismo culturale non può essere giustificato considerandolo come storia fatta e passata, sarebbe una conclusione superficiale, oltre che semplicistica. Quella che oggi si leva è la voce rotta di popolazioni che sono state spogliate del loro onore e che rivendicano l’indipendenza per la quale i loro avi furono ammazzati.
Il debito più grande resta quello di ordine morale, che potrebbe essere sanato da deboli sforzi di intelligenza e poco studio. Qual è, infatti, il limite tra appropriazione e assimilazione, ammirazione culturale? Cosa dovrebbe pensare un europeo riguardo la piccola Tour Eiffel a Las Vegas oppure la fake Fontana di Trevi a Seul? Tutto sta nella disponibilità a conoscere e apprendere gli aspetti più profondi dell’altra cultura, di quella estranea, diversa, lontana: è questo il requisito richiesto perché il furto possa tramutarsi in omaggio.
L’appropriazione culturale è un’offesa allo spirito di un popolo che, su quegli elementi rubati, ha fondato la sua memoria, l’anima intima delle generazioni che si susseguono: la sua vera essenza.
Maria Paola Buonomo
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