Mutilazioni Genitali Femminili, rituali di crudeltà
Per mutilazioni genitali femminili, l’OMS intende «tutte le procedure che includono la rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre lesioni agli organi genitali femminili, per ragioni culturali o altre ragioni non terapeutiche».
Sono ben 130 milioni le donne che sono state costrette alla pratica brutale e disumana della mutilazione genitale e 3 milioni di bambine all’anno rischiano di essere sottoposte a questa barbarie.
Di ragazzine, infatti, si tratta, se non addirittura di neonate, come succede in Nigeria. Perché, la mutilazione assume forme diverse a seconda del paese e della cultura in cui viene protetta come parte della tradizione.
Donne africane, medio orientali, indonesiane, sudamericane, europee: sorelle unite nella sofferenza inferta da una tortura che si perpetua da secoli, resistendo a tutti i tentativi di abbattimento.
L’usanza della mutilazione genitale femminile nasce prima della diffusione del cristianesimo e dell’islam per cui, non si rifà tanto a ideali religiosi, ma riflette la profonda disuguaglianza tra i sessi: è una violenza di genere.
Non è ancora del tutto chiara l’origine della pratica. Sappiamo che si diffuse presto in Africa, dove ancora oggi si esegue in maniera sistematica. Sono almeno 30 i paesi in cui si registrano mutilazioni genitali femminili ed è un dato sconcertante il fatto che se ne ritrovino tracce anche in Europa. Infatti, in particolare durante gli anni ’60, esse veniva impiegate come cure mediche contro quello che allora era considerato il disturbo muliebre per eccellenza, l’isteria.
In base all’operazione inferta, le FGM sono suddivise in quattro categorie, che variano dall’asportazione parziale della clitoride al restringimento dell’orifizio vaginale. Il tutto è compiuto in condizioni igienico-sanitarie pessime, senza materiale sterile né antibiotici: se il solo pensiero vi provoca brividi, provate ad immaginare cosa possa significare subire queste crudeltà sulla propria pelle…
Al procedimento doloroso seguono conseguenze se non più gravi, almeno allo stesso modo strazianti. Emorragie o infezioni possono procurare la morte immediata; con il tempo, invece, si rischiano problemi durante il parto, i quali, di nuovo, possono determinare la morte di mamma e bambino. Ai danni fisici si aggiungono quelli psicologici, scaturiti dal trauma per l’atrocità dell’evento.
La mutilazione conclude un rito di passaggio: è la cerimonia messa in atto per testimoniare il fatto che una bambina è diventata adulta. Ragazzine, queste tormentate, che crescono nell’attesa di quel momento, ma senza la giusta consapevolezza di ciò che accadrà loro. In questo senso, è illuminante che gli uomini non siano tenuti ad assistere alla funzione, motivo per il quale essi ignorano l’effettiva sofferenza a cui costringono le donne del gruppo.
Solo tramite il rituale di purificazione le ragazze possono entrare a far parte della tribù: il cerimoniale è necessario e non può essere semplicemente eliminato. Esso costituisce una sorte di legittimazione che tutti, in un momento della loro vita, devono conquistare per essere accettati e ottenere rispetto.
Tante sono le associazioni che, ormai da anni, combattono e lottano strenuamente affinché si possa restituire un po’ di dignità a tante donne già mutilate e a coloro destinate ad esserlo. L’obiettivo è quello di educare e informare le popolazioni che effettuano il rito circa le conseguenze che si rischiano in seguito alle mutilazioni.
Ciò che preoccupa maggiormente è che, nonostante gli ottimi risultati che si stanno ottenendo, i numeri sembrano destinati ad aumentare. Il 6 febbraio, in tutto il mondo, si ricordano le vittime di mutilazione genitale femminile, nella speranza che memoria e sensibilizzazione al tema possano trionfare nell’abolizione della pratica, in un domani non troppo lontano.
Ogni donna mutilata è una sconfitta per l’umanità; ogni persona informata è un passo verso il cambiamento.
Maria Paola Buonomo
Vedi anche: Amore senza lividi: sensibilizzare contro la violenza