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Rompiamo insieme il “carusiello”?

Il dialetto napoletano ha in serbo sempre tante storie. Storie come quella del “carusiello”.

Il “carusiello”, come lo conosciamo oggi, è un salvadanaio di creta con il classico foro orizzontale per introdurre monetine, o meglio i risparmi, che bisogna rompere in cocci una volta deciso di riprendere tutto il denaro conservato. 

Molto simile al maialino utilizzato da bambini, la rottura del “carusiello” era un evento super emozionante perché avrebbe sancito la nostra prima forma di indipendenza economica e quindi, quanti gelati avrei potuto comprare con 50 mila lire?

Per scoprire le origini del termine dobbiamo prendere in considerazione un’altra parola usata soltanto a Napoli: il caruso. Per caruso, i partenopei, intendono una testa rasata, termine che deriva dal latino “cariosus“, che tradotto significa, appunto, senza peli, liscio.
Ma cos’hanno in comune un salvadanaio di creta e una testa rasata? 

Ai tempi della dominazione spagnola, i nobili cavalieri erano soliti divertirsi con giochi e tornei a cavallo. Uno in particolare prevedeva il lanciarsi una grossa palla di creta, che per il colore marrone e per la somiglianza ad una testa rasata, veniva chiamata “caruso“. I salvadanai all’epoca non erano altro che una versione più piccola di quelle palle di creta da giochi, così vennero chiamati “piccoli carusi” o meglio “carusielli”.

Vedi anche: Stai un po’ zitto! All’origine del termine «laconico»

La Redazione

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