Mamma resta a casa e papà va a lavorare – così succede ancora in Italia
In Italia, sono ancora troppe le donne che rinunciano al loro lavoro per dedicarsi ai figli: i dati forniti dall’Inl sono preoccupanti.
Non è una novità il fatto che nel nostro paese la percentuale di donne lavoratrici è inferiore rispetto alla media europea. Non è nuova nemmeno la differenza che intercorre tra il tasso d’occupazione femminile e quello maschile, quest’ultimo decisamente più elevato. E tutti ben sappiamo che in fin troppo numerose situazioni lavorative una dipendente donna percepisce uno stipendio più basso del suo corrispettivo maschile.
Ciò che oggi desta l’attenzione, però, è l’assoluta staticità di questa situazione preoccupante. L’ispettorato Nazionale del Lavoro ha comunicato dati da brividi: nel 2020, 42.000 sono state le dimissioni di genitori con bambini da 0 a 3 anni e il 77% sarebbe costituito proprio da madri.
Parliamo di circa 32.300 donne, di diversa età e provenienza, che hanno deciso di restare a casa. Perché è questa la motivazione principale fornita dalle protagoniste dell’inchiesta: “badare alla prole”.
Conciliare lavoro e figli non è (ancora oggi nel 2021!) semplice come si potrebbe pensare. La maggioranza delle donne in questione non è soddisfatta della disponibilità dei servizi di cura: mancato accoglimento al nido e costi troppo elevati per l’assistenza al neonato (innanzitutto asilo, ma anche baby-sitter) sono solo le criticità più lamentate.
Sono questi gli aspetti pratici che vanno migliorati e potenziati, affinché possa essere concretamente possibile, per un genitore, gestire la propria vita lavorativa unita a quella familiare. Una condizione tutelata, protetta ed efficiente garantisce la reale opportunità di lavoro per chiunque debba accudire piccoli bambini.
Anni di femminismo e di lotte contro il patriarcato non hanno ancora prodotto i frutti sperati.
È chiaro, infatti, che quel 77% di madri è il segnale di problemi ben più gravi e complessi, anzi dell’unico, grande problema della nostra società: la disparità di genere.
“Esiste una profonda differenza di genere nel dato relativo alle motivazioni in quanto la difficoltà di esercizio della genitorialità in maniera compatibile con la propria occupazione è quasi esclusivamente femminile. Le segnalazioni di difficoltà di conciliazione per ragioni legate ai servizi di cura o ragioni legate all’organizzazione del lavoro, infatti, riguardano donne in una percentuale tra il 96% e il 98%. La prevalente motivazione delle convalide riferite a uomini è invece il passaggio ad altra azienda”, scrive l’Inl.
Un profondo gap di genere, dunque, è quello che emerge da notizie di questo tipo. Se il 77% delle madri rinuncia al proprio impiego è perché altrettanti padri sono disposti a lavorare, o meglio, non sono disposti ad abbandonare la propria vita fuori dal tetto di casa (e nessuno se lo aspetta!). I numeri sono chiari anche su questo: “in presenza di figli aumenta l’inattività delle donne e diminuisce quella degli uomini” continua l’Inl.
Perché?
Perché siamo ancora vittime, noi donne, dell’antica, antiquata e arretrata concezione sociale che ci vuole madri diligenti, cameriere pronte all’uso, cuoche provette!
Oggi è colpa nostra: è colpa delle nostre decisioni, è colpa della vita che scegliamo di condurre, è colpa dei nostri sensi di colpa.
La mamma sta al primo posto. La mamma è la persona più importante. La mamma sopporta tutto, è forte. La mamma, allora, può sacrificare le sue aspirazioni; perché, in fondo, lei può soffrire un po’ di più.
Ahimè, ci aspetta ancora tanta strada da fare…
Maria Paola Buonomo