Orrore e silenzio nelle Case Magdalene
Conoscete la storia di Maria Maddalena?
La donna peccatrice che, dopo una vita di sbagli, si pentì per seguire Cristo.
Sebbene ci siano diverse incomprensioni su questo personaggio, per molto tempo essa rimase un grande modello di riferimento per “aiutare” molte altre come lei ad espiare le proprie colpe.
Questa è la storia delle Case Magdalene, istituti femminili volti all’accoglienza di donne “immorali”.
Le prime nacquero in Inghilterra ed Irlanda nel XIX secolo e avevano come obiettivo la riabilitazione ed il reinserimento in società di prostitute, vittime di stupro, ragazze madri e orfane.
In particolare venivano aiutate, insieme ai loro figli, per garantire ad entrambi un futuro migliore.
Diciamo che, fino a qui, l’idea fu anche buona.
In realtà le ragazze venivano rinchiuse, talvolta contro la propria volontà, dalle stesse famiglie negli istituti, per iniziare questo percorso che avrebbe dovuto portarle alla salvezza dell’anima.
Per arrivare a tale scopo, le donne erano costrette a lavorare per ore in maniera estenuante, spesso come lavandaie, perdendo quello che era lo scopo iniziale delle Case.
Infatti, una volta passate sotto l’amministrazione della Chiesa Cattolica, divennero vere e proprie prigioni, con regole ferree da rispettare, penitenze e preghiere.
Tagliare i capelli, indossare abiti larghi ed informi, rimanere in silenzio, questa erano solo alcune delle norme da seguire nelle Case.
Non venivano fatte discriminazione per religione o colore della pelle, ma una cosa era certa: una volta entrate non si usciva più.
Le ragazze venivano chiamate “Sorelle di Santa Margherita” e, da quel momento, iniziava una vita infernale senza retribuzione e compiendo lavori molto faticosi.
Questi istituti furono attivi fino al 1993, quando a Dublino, dopo un’indagine, vennero trovati 155 cadaveri di donne e, tre anni dopo, iniziarono a fiorire diverse testimonianze di chi aveva vissuto quell’orrore.
Ufficialmente, l’ultima Casa Magdalena è stata chiusa in Irlanda nel 1996 e, al momento, non esistono registri che possano indicare quante ragazze effettivamente siano state ospitate lì.
Nonostante ciò, molte testimonianze raccontano di stupri, abusi e minacce ricevute negli istituti e di quanto le ragazze fossero isolate dal resto del mondo, tanto da non riuscire ad avere più una vita normale una volta fuori.
Insomma, queste Case erano dei veri e propri lager, dove le giovani, costrette a lavorare, a subire violenze e ad essere allontanate da tutti per il solo motivo di essere donne “perdute”, non riacquistavano mai più la propria indipendenza, restando per sempre traumatizzate da quella terribile esperienza.
Martina Maiorano
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