Perché i film di David Lynch ci emozionano anche quando non li capiamo?
David Lynch, il cui nome è frequentemente associato all’incomprensibile, è adorato anche dalle masse per la sua capacità di comunicare sensazioni, per cui è facile guardare un suo film, non capire di cosa parli, ma uscire dal cinema comunque soddisfatti.
Capita a volte, nella quotidianità, che mentre siamo intenti a fare qualcosa, ci sia una canzone di sottofondo che condiziona il nostro umore, senza che ce ne rendiamo conto.
Nello stesso modo, la colonna sonora di un film ci predispone a leggere la scena in un certo modo.
Spesso sottovalutiamo quanto sia determinante l’aspetto sonoro per la caratterizzazione di un film, soprattutto quando immagini e suoni si amalgamano in maniera così perfetta da farci pervenire le sensazioni in maniera naturale e inconsapevole, senza che neanche siamo in grado di distinguere nettamente tutto ciò che ci è stato offerto.
Se invece decidiamo di addentrarci in un’operazione di scoperta, oltre la superfice, ci avviciniamo ad un regno misterioso che parla per simboli e suggestioni: il regno dell’inconscio.
Nessun cineasta padroneggia meglio quel territorio del visionario David Lynch. Il linguaggio di questo artista d’avanguardia non è mai casuale, ma sempre dettato da scelte particolarmente attente.
Anche nelle sue pellicole che possono apparire deliranti ad una prima visione, esiste una chiave di interpretazione dell’opera: dalla serie I segreti di Twin Peaks, passando per Velluto Blu, fino ad arrivare a Mulholland Drive, pluripremiato film che ha vinto l’Oscar nel 2012 ed è stato considerato il miglior film del 21°secolo in un sondaggio della BBC.
Come per i colori e le location, il regista americano compie una scelta certosina quando si tratta della colonna sonora e non a caso ha spesso convocato musicisti famosi come attori: David Bowie interpreta il detective Phillip Jeffries in Twin Peaks, Chris Isaak compare in Fuoco cammina con me, il prequel della serie, Marilyn Manson è in un cameo suggestivo in Strade Perdute e Trent Reznor con i suoi Nine Inch Nails ha suonato dal vivo in un episodio della recente Twin Peaks – La serie evento.
Ma il legame che il cineasta ha con la musica va oltre, ed è sfociato nella realizzazione di alcuni dischi, dopo essersi occupato per anni personalmente della produzione di suoni da utilizzare per i suoi film.
Uno dei suoi trucchetti, infatti, è proprio quello di utilizzare degli effetti acustici subliminali, o che comunque non vengono facilmente percepiti dallo spettatore, di sottofondo.
Secondo il quotidiano inglese Indipendent, la scena più inquietante della storia del cinema è stata girata proprio da David Lynch, in Mulholland Drive, usando questo stratagemma.
Due amici si incontrano in un caffè e uno dei due comincia a raccontare all’altro un incubo. Gradualmente il racconto dell’uomo e la realtà si fondono e la scena culmina con un jumpscare. In poco meno di cinque minuti, il regista tesse una tela attorno allo spettatore, aiutandosi con gli effetti sonori.
Durante la conversazione tra i due amici, proviene dall’esterno, in lontananza, la sirena di un’ambulanza che trasmette senso di allarme, i banali rumori da bar delle stoviglie sono stati distorti e amplificati.
Tutto questo contribuisce a rendere la scena ambivalente, generando nello spettatore la sensazione che Freud aveva definito “perturbante”, quella che sperimentiamo se contemporaneamente avvertiamo familiarità e straniamento.
Il cineasta, che prima di lanciarsi nel mondo del cinema era un pittore, affronta il processo creativo partendo da ispirazioni improvvise che condivide coi suoi collaboratori.
A confermarcelo, un video virale in cui Angelo Badalamenti, compositore, racconta la genesi dell’intramontabile tema di Twin Peaks.
Lynch ha proposto un’immagine: in un bosco oscuro di alberi di sicomoro, sormontato da una leggera brezza, c’è una ragazza sola, molto triste, chiamata Laura Palmer.
Da questo suggerimento visivo, che è proseguito per tutto il tempo della composizione, le dita di Badalamenti hanno iniziato a comporre al piano una melodia cupa e suggestiva, un motivo malinconico che raggiunge un climax e torna verso l’oscurità.
Nelle note gravi del piano, scandite con lentezza, è ben tratteggiata tutta l’essenza della serie televisiva più onirica di tutti i tempi.
Sara Picardi
Vedi anche: La guarigione intima ed emotiva di Drive my car