Buon Compleanno François Truffaut! Perché amarlo ancora oggi?
Il 6 febbraio1932, a Parigi, nasceva uno dei cineasti più importanti della Storia del cinema mondiale: François Truffaut.
Fu un ribelle sin dalla tenera età, un cinefilo vorace, un critico polemico, l’iniziatore della Nouvelle Vague, un regista e uno sceneggiatore sensibile e profondo, un produttore e all’occasione anche attore.
Oggi avrebbe compiuto 90 anni, se un tumore al cervello non lo avesse strappato alla vita troppo presto. Ciononostante, come accade per le menti brillanti, la sua eredità culturale continua a ispirare e a formare le generazioni a venire.
Nell’anniversario del suo genetliaco, rendiamogli omaggio: stasera sedetevi comodamente sul divano e guardate uno dei suoi 21 film.
I 400 colpi, Effetto notte, Fahrenheit 451, Jules e Jim, Baci rubati, Il ragazzo selvaggio, L’uomo che amava le donne, Adele H. Una storia d’amore, La signora della porta accanto… ecco alcuni dei titoli migliori.
Come si fa a scegliere? Sicuramente i primi due sono capolavori imprescindibili, dal momento che l’uno vinse il premio per la miglior regia al Festival di Cannes del 1959; l’altro, l’Oscar come miglior film straniero nel 1974.
Tutta la sua filmografia è una piccola grande perla che gli è valsa un posto d’onore nell’Olimpo dei grandi maestri del cinema.
Il trait d’union della sua produzione è l’amore, che esplode con irruenza sfociando nella trasgressione e travalicando i codici della società borghese.
Non c’è spazio, però, per stucchevoli e artefatti romanticismi, perché, nella sua concezione, l’occhio cinematografico doveva catturare e restituire la realtà nelle sue spigolose contraddizioni. È per questo che nelle sue pellicole si rimestano, trattati con una “calviniana” leggerezza, momenti di estrema gioia e di intenso dolore: i due poli opposti dell’esistenza.
Come Truffaut confessò in un’intervista, ciò che davvero gli interessava riprendere e immortalare era la sfera affettiva:
«I film che realizzo si basano solo sui sentimenti, soprattutto quelli che rivelano quanto di caduco e doloroso ci sia in certe relazioni familiari o sentimentali. In ogni mio film io punto sempre sugli stessi conflitti fra sentimenti definitivi e provvisori e così finisco per filmare sempre gli stessi contrasti».
Protagoniste privilegiate di questi contrasti sono le donne, del cui animo, Truffaut era un fine scrutatore. Egli era convinto che il cinema fosse “un’arte delle donne” e che il compito del regista fosse quello di “far fare belle cose a belle donne”. Da ciò scaturisce la variegata galleria di incantevoli personaggi femminili che popolano i suoi film. La venerazione per le donne era una conseguenza della sua indole di inguaribile Don Giovanni, per cui nutriva l’abitudine di intrattenere relazioni amorose con le sue muse.
Un altro tema a lui caro è stato quello dell’infanzia difficile, vissuta sulla propria pelle. Lo troviamo nell’autobiografico I 400 colpi, in cui Antonie Doniel si fa alter ego dell’autore; ma anche ne Il ragazzo selvaggio e ne Gli anni in tasca.
Forse è proprio alla delicata storia del Truffaut bambino che dobbiamo la genialità del Truffaut adulto. La sua giovinezza fu segnata dall’onta di essere figlio di NN (come i fratelli De Filippo) e di una madre che non voleva metterlo al mondo. Ripudiato dalle figure genitoriali, il piccolo François trascorse i primi anni con la nonna materna, la quale gli trasmise la passione per la letteratura che in seguito ispirò le sceneggiature dei suoi capolavori.
Alla morte della nonna, il ragazzino andò a vivere con la madre e il compagno – dal quale prese il cognome – ma le circostanze particolari della nascita lo avevano già segnato in profondità. Era una testa calda, passava di scuola in scuola, inquieto e svogliato, collezionando pessimi voti. Alle aule scolastiche, preferiva le sale cinematografiche, nelle quali si rifugiava marinando le lezioni.
La prima proiezione alla quale l’autore assisté fu Paradiso Perduto (1940) di Abel Gance: da allora, l’ amore smisurato per la Settima Arte divenne totalizzante, una vera e propria ragione di vita:
«I film sono più armoniosi della vita, Alphonse. Non ci sono intoppi nei film, non ci sono rallentamenti. I film vanno avanti come i treni, capisci, come i treni nella notte. La gente come te, come me, lo sai bene, siamo fatti per essere felici nel nostro lavoro del cinema.» (citazione tratta da Effetto Notte, 1973).
L’incontro con André Bazin determinò la svolta decisiva: questi, come un padre, lo prese sotto la sua ala e ne fece esplodere l’enorme potenzialità. Dopo averlo fatto uscire dal riformatorio, gli procurò dei lavori in campo cinematografico e infine lo assunse come critico presso i Cahiers du Cinéma, la più autorevole e prestigiosa rivista cinematografica francese, da lui fondata.
L’esperienza redazionale fu cruciale per la formazione di Truffaut (soprannominato il “becchino” del cinema contemporaneo), perché ebbe modo di conoscere i compagni con i quali avrebbe poi fondato un movimento cinematografico rivoluzionario, la Nouvelle Vague.
François Truffat, Jean-Luc Godard, Claude Chabrol, Éric Rohmer e Jacques Rivette: questi furono i capostipiti della “Nuova ondata”. Tale espressione era stata coniata dalla stampa per etichettare un insieme eterogeneo di nuovi autori, attivi in Francia tra gli anni ’50 e gli anni ’60, i quali – traendo spunto dal Neorealismo italiano – volevano testimoniare in tempo reale l’immediatezza del divenire con mezzi di fortuna e con la sincerità di un diario intimo.
In verità, si trattava di individualità completamente autonome e differenti, al punto che ben presto il “gruppo” si separò. Tuttavia, era inevitabile che l’arte di ciascuno di loro risentisse delle reciproche influenze e del modello di Bazin.
Il nostro François unì questi influssi con quelli dei predecessori idolatrati – Ingmar Bergman, Alfred Hitchcock, Roberto Rossellini, Orson Welles, Charlie Chaplin, Ernst Lubitsch, Carl Theodor Dreyer – e vi aggiunse il proprio tocco personale, dando vita alla sua peculiare estetica cinematografica.
Esordì nel 1954 con il cortometraggio Une visite, dopodiché, nel 1957, in seguito ad alcune esperienze come sceneggiatore e assistente alla regia (collaborò persino con Rosselini), decise di fondare una propria società di produzione e di dedicarsi in prima persona alla realizzazione di film.
Le sue opere sono intelligenti e di spessore, ma attenzione: non intellettualistiche ed elitarie! Il regista credeva fermamente in un cinema popolare che fosse “chiaro, avvincente e intrigante”, poiché doveva essere fruibile e comprensibile da chiunque.
Era contrario, invece, alla forzate pretese pedagogiche (alla Zavattini maniera): a suo parere, un film era il riflesso di una creatività autoriale impossibile da imbrigliare in regole prestabilite. Il massimo che si poteva fare era inserirsi nei codici di genere e sabotarli dall’interno.
La dedizione assoluta alla professione, lo portava ad interrogarsi incessantemente sulle possibilità del mezzo. Ognuna delle sue pellicole racchiude una metafora sul cinema (metacinematografia), soprattutto Effetto notte che rappresenta un caso di “film nel film”.
Perché ricordare e amare ancora oggi François Truffaut? Perché continua a dialogare con il pubblico attraverso le sue pellicole immarcescibili che, inscenando l’universalità dei sentimenti umani, non invecchieranno mai.
Un ultimo appunto: se vi trovaste a Parigi, passate per il cimitero di Montmartre dove sono conservate le sue spoglie. Si narra che sulla lastra cinerea, accanto al nome, qualcuno ponga sempre una rosa rossa.
Giusy D’Elia
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