Arma virumque cano, quando il poema epico è propaganda e molto altro
Non si può parlare di Virgilio, o meglio di Eneide, senza Augusto.
Nel I secolo a.C. dopo numerosi contrasti e guerre per la presa del potere seguita alla morte di Cesare, come la battaglia di Azio tra Ottaviano e Marco Antonio, proprio Ottaviano si profila come simbolo della concordia e salvatore dalla decadenza.
A contraddistinguere la tranquillità e la stabilità politica della Pax Augustea contribuirono non solo l’assenza di spargimenti di sangue, ma specialmente lo specifico lavoro propagandistico.
Sotto Ottaviano Augusto si inaugurava una nuova età dell’oro all’insegna del recupero dei valori della tradizione romana. In questa forte ripresa la cultura era la chiave principale per consacrare il princeps e la sua gens.
L’esaltazione dell’ideologia del principato trova nell’esametro virgiliano un notevole e riuscito sforzo di creare un’epica nazionale romana nonché un capolavoro senza tempo.
Alle spalle di Virgilio una tradizione epica importantissima pone le basi che serviranno per i 12 libri che si pongono come contaminazione e continuazione dei poemi omerici.
L’epos ciclico non di meno porta al superamento di Omero stesso attraverso la creazione di una nuova città.
Il viaggio di Enea si può semplificare in due blocchi narrativi:
Nei libri dal 1° al 6° appartenenti ad una metà odissiaca, si ripercorrono in retrospettiva i motivi dell’ira di Giunone che fa una scoppiare una tempesta che conduce Enea ad approdare dalla Sicilia a Cartagine.
Qui, incontrata la regina Didone alla quale narra le sue peripezie, i due si innamorano, ma richiamato dagli Dei al suo dovere è costretto suo malgrado ad abbandonarla.
Alla notizia della flotta che si allontana, la regina cartaginese Didone lancia una maledizione, premonizione e spiegazione delle guerre puniche, per cui romani e cartaginesi saranno sempre in lotta tra loro e cede poi al dolore suicidandosi.
Si richiama in questo modo Odisseo al castello dei Feaci.
In seguito ai giochi funebri in onore del padre Anchise, a metà della narrazione Enea discende agli Inferi ed ascolta la premonizione del suo destino: approdare in Lazio e fondare la città di Roma.
Dal 7° al 12° libro, la metà iliadica, dopo l’approdo di Enea in Lazio, segue lo scontro con esito mortale contro Turno- re dei Rutuli – per la promessa sposa Lavinia, figlia di Latino. La guerra troverà poi la propria fine grazie all’intervento divino che garantirà coesistenza tra popoli latini e troiani nel Lazio.
L’ultima difficoltosa prova da superare per l’eroe troiano è la compassione per il nemico vinto.
Enea somiglia ad Achille che si vendica di Ettore.
Il viaggio di Enea verso l’ignoto è totalmente mosso dal fato per la fondazione di Roma e per la salvazione, incarnando perfettamente i valori romani della pietas, della devozione verso la propria patria e verso gli dei.
L’Eneide tratta l’uomo ed i suoi labores, evidente già dal proemio:
Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris
Italiam, fato profugus, Laviniaque venit
litora, multum ille et terris iactatus et alto
vi superum saevae memorem Iunonis ob iram;
multa quoque et bello passus, dum conderet urbem,
inferretque deos Latio, genus unde Latinum,
Albanique patres, atque altae moenia Romae.
A distinguere Virgilio da Omero è specialmente l’intenzione di considerare prima l’uomo, virum, poi le armi come metonimia delle guerre che Enea è costretto ad affrontare.
L’aspetto psicologico che emerge è quello di un virum che cerca la pace per muoversi in sintonia con la pax augustea, per rispondere alle aspirazioni virgiliane poiché lo stesso autore ha conosciuto la violenza.
Ad amplificare il messaggio propagandistico si aggiunge anche il lessico tipicamente Augusteo come nel verbo “parcere”, per indicare la clemenza secondo la quale non si infierisce contro i nemici e si risparmiano i vinti, richiamando alla mente addirittura il De Bello Gallico.
L’esaltazione di Augusto e della stabilità da lui promossa trovano una forte promozione a partire dall’antefatto mitico per associarsi alla figura di Iulo anche detto Ascanio – figlio di Enea stesso- legandosi alla Gens Iulia e sua discendenza prima con Giulio Cesare e il nipote adottivo Ottaviano Augusto, fino alla potenza di Roma.
In particolare proprio il 6° libro dell’ Eneide fu letto alla presenza della famiglia imperiale suscitando una gran commozione specialmente nella parte finale dedicata alla morte del giovane Marcello.
Immaginate se l’Eneide fosse stata realmente data alle fiamme poiché incompiuta, come aveva chiesto lo stesso Virgilio nel proprio testamento?
Alessandra De Paola
Illustrazione Sonia Gianpaolo
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