Medusa: una donna tra mito e contemporaneità
Circa 2000 anni fa, Medusa si è guadagnata un restyling.
Capitava infatti che gli antichi greci, originariamente, rappresentassero la Gorgone in una maniera tragicomicamente ridicola, con la lingua penzoloni, la barba, gli occhi fuori dalle orbite, né donna né uomo: solo mostro.
Queste immagini dovevano riportare alla mente il mito di un essere ricoperto di scaglie di drago, con zanne di cinghiale, che viveva ai confini del mondo e aveva il potere di trasformare in pietra chiunque lo guardasse.
Poi, arrivò l’ellenismo. Arrivò la ricerca estetica. Arrivò la necessità del bello, seppur nella mostruosità. E così, i connotati di Medusa cominciarono a cambiare: il suo aspetto androgino fu addolcito, la barba cedette il posto alle guance glabre, le zanne furono nascoste da labbra più carnose. Addirittura, in una giara giunta sino a noi dal 400 a.C., Medusa è rappresentata dormiente, come una fanciulla con ali dorate dall’apparenza quasi angelica, e con folti ricci neri.
I serpenti, infatti, furono un’aggiunta successiva e, sebbene alcuni vasi romani già la rappresentassero con piccoli rettili intrecciati tra i capelli, si vocifera sia stato Leonardo da Vinci, giovanissimo, a raffigurarla per la prima volta con le serpi al posto dei capelli, in un dipinto così verosimile da spaventare a morte il padre.
È Ovidio, invece, nel I secolo d.C., a parlarci per la prima volta della storia di Medusa, che non era sempre stata un mostro: donna orgogliosamente bella, tanto da far innamorare Poseidone, fu da lui violentata all’interno del tempio di Atena e fu la dea, gelosa di tanta bellezza, a maledirla e a trasformarla in una mostruosa divinità. Artisti pietosi di epoca romana la ritraggono dunque molto più umana, e pur tuttavia la sua testa recisa da Perseo, con quegli occhi capaci di impietrire, rimangono un simbolo allo stesso tempo di potere e di smisurata ambizione.
Medusa è più bella, è più donna ed è perciò, nella visione della società in cui prende forma il suo mito, più pericolosa e più mostruosa: la mostruosità del mito serve a giustificare la mostruosità insita nella donna, che usa la sua sensualità come se fosse una minaccia. Medusa è il ritratto della hybris, e la hybris è tutta femmina.
In epoca barocca, gli artisti riscoprono quel gusto per il conturbante che li porta ad adottare, nella rappresentazione del mito, un crudo realismo: Medusa è allora solo una testa mozzata, la donna è sconfitta. Dal collo reciso sgorgano fiotti di sangue nello Scudo di Medusa (1597) di Caravaggio e nella Medusa (1618) di Rubens.
Solo poco dopo, nel 1640, un artista di rara sensibilità come Gian Lorenzo Bernini sceglierà invece di recuperare la Medusa fanciulla, quella prima (ma non troppo prima) della trasformazione, quella che soffre, che non nasconde l’umanità dietro al mito.
Ma Medusa resta femmina, ed è il prototipo della femme fatale, la donna da cui guardarsi le spalle che emerge nel XIX secolo e non è mai più totalmente scomparsa. Il suo potere, però, è cambiato: è davvero “colei che domina”, secondo l’etimologia del suo nome, e forse il suo sguardo non trasforma in pietra, ma seduce. Così sembra interpretarla Gianni Versace, a cui non sfugge il potere ammaliante del fascino della donna-mostro, e che ne fa infatti il suo marchio.
Nella contemporaneità, ciò che appare pericoloso, di Medusa, rimane la sua sensualità, anzi, la sua sessualità. Damien Hirst, chiamato a celebrare i 40 anni della rivista maschile GQ, sceglie Rihanna per vestire i panni della sua Gorgone, ritratta bellissima, fiera e capace di ammazzare con un battito di ciglia: “Rihanna è davvero l’immagine della cattiva ragazza – dirà nell’intervista di accompagnamento all’immagine – Se sei una madre, lei è un po’ la personificazione del tuo incubo, no?”.
Ma se appare demoniaca l’immagine di una donna sessualmente libera, lo è forse ancora di più quella di una donna politicamente impegnata: per secoli, le donne che si sono trovate in situazioni di potere sono state paragonate a Medusa, da Maria Antonietta alle Suffragette… e provate a googlare oggi “Angela Merkel” e “Medusa” insieme.
Forse, l’esempio più potente, in questo senso, proviene dall’ultima campagna elettorale americana: il viso di Hilary Clinton photoshoppato nel corpo del gruppo scultoreo Perseo e Medusa di Benvenuto Cellini. Perseo, ovviamente, con un grande sforzo d’immaginazione, è sostituito da Donald Trump.
La realizzazione è forse tra le più moderne che la tecnologia permetta, ma il messaggio, con tutti i suoi sottintesi, è uno antico.
Del mito di Medusa, ciò che ho sempre personalmente estratto è che resta difficile guardare negli occhi un essere umano e non restare pietrificati dalla complessità delle sue ambizioni, dalla sua sessualità, dalla sua richiesta di essere visto, uomo o donna che sia.
È difficile.
Però, forse, è al di là della paura di diventare pietra che riposa quella bellezza che cerchiamo dai tempi dell’ellenismo.
Marzia Figliolia
Vedi anche: La Spigolatrice di Sapri: opera sessista, capolavoro o specchio dei tempi?