Roberto Saviano, perché c’è chi ti odia?
Roberto Saviano è un giornalista campano, nato nel quartiere di Chiaia a Napoli ma cresciuto a Caserta.
Salito alla ribalta mondiale grazie a Gomorra, libro-denuncia divenuto prima film e poi serie TV, è un personaggio che non può lasciare indifferenti.
Dopo il diploma scientifico e la laurea in filosofia, Roberto Saviano inizia la sua carriera giornalistica nel 2002. Quattro anni dopo, esce il suo libro: Gomorra.
Basandosi sulle indagini di polizia e sugli atti processuali, Saviano riporta la situazione in cui riversano soprattutto i comuni di Napoli, Casal di Principe, Mondragone, Giugliano, Casapesenna e San Cipriano d’Aversa. Nel libro, è descritta la realtà dei rifiuti tossici che avvelenano la Campania, delle ville dei camorristi, che sembrano quelle di Hollywood, della popolazione che protegge ed approva l’operato della malavita.
Tradotto in 52 paesi, il libro suscita le polemiche dell’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi, il quale accusa Gomorra di aver dato troppa pubblicità alle mafie, e di aver danneggiato l’immagine della nazione.
Durante una manifestazione per la legalità del 23 settembre 2006 a Casal di Principe, Saviano denuncia il malaffare dei capi del clan dei Casalesi, che in seguito lo minacceranno e progetteranno di ucciderlo. Da questo momento, precisamente dal 13 ottobre 2006, Saviano vive sotto scorta.
E veniamo al nocciolo della questione. Perché Saviano è detestato da alcune persone? Cosa fa questo giornalista investigativo di tanto fastidioso, seccante, problematico da suscitare, nella migliore delle ipotesi, diffidenza?
Negli ultimi mesi Roberto Saviano è stato utilizzato come l’altro polo della rappresentazione mediatica: quella brutta, che dipinge Napoli nella sua totale negatività. Mi riferisco alla questione Saviano – Angela.
Nella notte di Natale del 2021, Alberto Angela fa un servizio di grande bellezza, di colta divulgazione facilmente fruibile dedicando un’intera puntata alla città di Napoli, nel suo programma Stanotte a…
Fin qui, nulla di preoccupante. Pochi giorni dopo, il web impazzisce, i giornali fanno questa contrapposizione tra la “Napoli di Gomorra” e la Napoli descritta da Alberto Angela. Su tutte, spunta una loro constatazione: finalmente Napoli viene riconosciuta nelle sue bellezze, finalmente di Napoli non si riporta solo la cronaca nera e il malaffare.
E, se la constatazione finisse qui, il ragionamento di una parte del web e di alcuni giornali non sarebbe neanche sbagliato e in malafede. Ma c’è un però.
Non si può citare Gomorra come se fosse una rappresentazione distorta e falsa di Napoli e provincia. Non si può citare Gomorra come se Saviano provasse una qualche forma di rancore ed ostilità verso Napoli, come se il suo racconto (vero, tra l’altro) della camorra fosse una sorta di smacco verso i campani.
A cercare di mettere a tacere, nonostante un preoccupante analfabetismo funzionale dilagante che ha reso poco chiaro ai più, ricorre proprio Roberto Saviano.
In un suo articolo pubblicato sul Corriere della Sera l’8 gennaio 2022, Saviano scrive “mi addolora leggere commenti sulle sfavillanti meraviglie contrapposte all’oscurità di Gomorra” e che “la Napoli raccontata da Alberto Angela esiste, ma non per nostro merito”.
In più, Saviano ricorda che le bellezze di Napoli sono “piene di crepe e cicatrici, e che la città è costantemente oltraggiata da agguati che avvengono tra i suoi abitanti”. Per avvalorare quanto scritto, il giornalista ricorda dell’attacco al boss Vitale Troncone in un bar di famiglia, a Fuorigrotta, il 23 dicembre alle 11 di mattina.
Tutto questo per far capire un concetto poco chiaro, magari per omertà, per perbenismo, per appoggio alla camorra, a chi non apprezza l’operato di Saviano: la “Napoli di Gomorra” e “quella di Angela” non esistono, perché Napoli è una sola.
Napoli è il Vesuvio addormentato (si spera dorma ancora per secoli) alle cui pendici si accoccola il bellissimo mare, è il buon cibo, il calore della gente, l’arte straordinaria. Ma Napoli è ANCHE Gomorra, e negarlo sarebbe dare ragione all’oppressore, o a chi con l’oppressore ci convive volentieri, ci fa affari addirittura.
In alcuni giornali locali si leggono articoli dalla retorica vomitevole che si può sintetizzare nello slogan “pizza, sole e mandolino”. L’ostilità che si nutre nei confronti di Saviano può essere spiegata con il mettere la testa sotto la sabbia volontariamente, e ciecamente.
Io non voglio vedere e non voglio dare ragione a Saviano, perché farlo mi farebbe troppo male. Perché informarmi, accettare e poi eventualmente combattere ciò che non va è difficile. Allora dico che Saviano è un arricchito. Dico che Saviano “non ha fatto niente di che”. Dico che Saviano ci gode della cattiva pubblicità.
L’ultimo intervento in televisione dello scrittore casertano è stato a Sanremo, con un discorso molto toccante e dall’inquietante parallelismo con la sua vicenda personale. Saviano ha parlato di due giganti italiani: Falcone e Borsellino, in occasione del ventennale della loro morte.
Lo scrittore ricorda alcune delle morti di coloro che, all’epoca, prima dei due magistrati siciliani, avevano lavorato per sconfiggere la mafia.
Il giudice Rocco Chinnici, ucciso da un’autobomba sotto casa sua nel 1983. Prima di lui, Cesare Terranova, ucciso nel 1979. Terranova aveva a sua volta collaborato col procuratore capo Pietro Scaglione, anche lui ucciso, nel 1971. Il giudice che poi si occupò dell’omicidio di Chinnici, Antonio Saetta, fu ucciso nel 1988. E ancora, furono uccisi dalla mafia: Gaetano Costa, Rosario Lipatini, e tanti altri ancora…
Saviano ricorda un fattore importante dell’epoca. Un fattore su cui la mafia faceva forza: la delegittimizzazione. Ai tempi, Falcone e Borsellino non erano affatto considerati come degli eroi.
Anzi, racconta Saviano, che la stampa giocava, aiutando la mafia, nel gettare fango su questi due imponenti magistrati. Si fanno pagare la scorta, utilizzano giubbotti anti-proiettile a nostre spese, sono diventati famosi…queste ed altre castronerie in malafede erano riservate ai due giudici. E la mafia poteva solo sguazzarci.
In più, ricorda lo scrittore, anche se venivano riportati gli omicidi ai danni di chi ostacolava la mafia, dopo pochi giorni già si era dimenticato il tutto.
Ma le cose cambiarono dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio. Cambiarono, ricorda sempre Saviano, anche grazie alla testimonianza di Rita Atria, la figlia di un piccolo boss di Partanna, ucciso da altri mafiosi così come il fratello di Rita.
La testimonianza di Rita Atria fu fondamentale, e portò alla condanna di molti mafiosi. Il suo sguardo era dall’interno, da chi nella mafia ci ha purtroppo vissuto.
Saviano utilizza il ricordo di Rita per denunciare, nuovamente, l’omertà: “questo silenzio finisce per favorire le mafie e lasciare solo chi le contrasta”. Il discorso di Roberto Saviano termina con le parole dello scrittore Ernesto Cardenal: “credevano di seppellirti, ma quello che hanno fatto è seppellire un seme”.
Sempre Saviano attribuisce ai giudici Falcone e Borsellino le proprietà del seme, che poi germoglia. Che è quello che hanno fatto entrambi i giudici, dando un contributo enorme alla lotta antimafia in Italia.
Odiare Saviano, o provare sentimenti di ostilità, di diffidenza, nei suoi confronti, è indice che qualcosa non va. I motivi di questi sentimenti negativi possono essere tanti, ma una domanda (anche solo per logica) sorge spontanea: come si può provare un accumulo di negatività per una persona che vive da 15 anni sotto scorta, che ha denunciato, che si schiera apertamente contro chi uccide la Campania e l’intera nazione?
Ai posteri l’ardua sentenza.
Aurora Scarnera
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