Disturbi alimentari: cosa si nasconde dentro i nostri corpi – intervista alla psicologa Vania Costa
In occasione del 15 marzo, giornata nazionale dedicata a tutti coloro che combattono contro i disturbi alimentari, abbiamo deciso di intervistare la psicologa e psicoterapeuta Vania Costa, che ci ha aiutati ad approfondire un tema delicato e che di anno in anno si fa sempre più presente nella società.
Che cos’è un disturbo alimentare?
«I Disturbi Alimentari possono essere definiti come comportamenti disfunzionali legati alla alimentazione che danneggiano significativamente la salute fisica e il funzionamento psicosociale dell’individuo.
Sebbene nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali dell’Associazione Psichiatrica Americana (DSM-5) troviamo distinti tre principali disturbi dell’alimentazione (Anoressia nervosa, Bulimia Nervosa e il Disturbo da Binge-eating), possiamo affermare che tutti loro condividono gran parte delle caratteristiche cliniche: eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo, la percezione e la sensazione di essere grassi, comportamenti di compenso eliminativi (vomito autoindotto, uso improprio di lassativi o diuretici).
Dai dati clinici si osserva che spesso vi è una migrazione dei disturbi dell’alimentazione da una categoria diagnostica all’altra.»
Perché è importante aumentare la consapevolezza a riguardo?
«I disturbi dell’alimentazione hanno una natura complessa, sono dilaganti con un’insorgenza sempre più precoce e possono provocare danni gravi all’organismo.
È fondamentale acquisire consapevolezza per intercettare le manifestazioni sintomatiche di ordine subclinico che creano malessere all’individuo e che spesso sono la premessa per l’esordio di una patologia franca. Le probabilità di remissione completa dei sintomi aumentano tanto più l’intervento di cura è tempestivo.»
Quali sono i segnali che fanno capire che si ha a che fare con una persona affetta da dca?
«La ricerca evidenzia che meno della metà dei casi clinici di disturbi dell’alimentazione sono intercettati a livello di cura primaria.
La natura della psicopatologia di tali disturbi è caratterizzata da vergogna, negazione, evitamento, segretezza, ambivalenza che rendono complesso per il paziente parlarne apertamente.
Generalmente è un membro della famiglia, un amico, un insegnante a richiedere aiuto preoccupati nell’osservare diversi cambiamenti: la perdita di peso, l’adozione di regole dietetiche estreme e rigide, l’aumento eccessivo dell’attività sportiva, la presenza di sintomi e segni fisici (stipsi, diarrea, dolore addominale, pirosi gastrica, alterazioni ormonali), il graduale evitamento sociale, la scomparsa di grande quantità di alimenti dalla cucina o frigorifero, lo scoprire accumuli di cibo in posti insoliti, etc.
Insomma, sono diversi i segnali di avvertimento comportamentali, fisici e psicologici, è buona prassi consultare un esperto.»
Qual è l’incidenza attuale dei disturbi alimentari?
«Di recente studi epidemiologici internazionali hanno rilevato un aumento di incidenza dei disturbi alimentari. Alcuni autori hanno utilizzato l’espressione “un’epidemia dentro l’epidemia”.
Vi è un incremento di circa il 30% di nuovi casi con un sensibile aumento di richiesta di aiuto per bambini e adolescenti. In Italia si stima che oltre 3,5 milioni di italiani soffrono di disturbi alimentari con un tasso di mortalità elevato (ogni anno muoiono quasi 4.000 persone con DA).
I dati allarmanti degli ultimi due anni hanno spinto ad istituire, con l’articolo 98 bis della legge di Bilancio 2022, un “Fondo per il contrasto dei Disturbi della Nutrizione e della Alimentazione”.»
Dato che, spesso, si associano i dca principalmente alle donne, com’è la situazione per gli uomini?
«In letteratura esiste un’evidente asimmetria di genere. La maggior parte degli studi è stata condotta su campioni femminili, alimentando la credenza che tali disturbi siano ad esclusivo appannaggio delle donne.
I DA nel genere maschile sono stati definiti sotto-diagnosticati, scarsamente trattati e poco compresi. Negli ultimi tempi studi scientifici mostrano sempre più come i tassi di DA nel genere maschile siano in aumento.»
Disturbi alimentari e sport: come si fa a capire quando lo sport diventa un’ossessione e come si può evitare che lo diventi?
«Nei disturbi alimentari l’esercizio fisico diviene eccessivo e compulsivo al fine di controllare il peso e la forma del corpo.
È definito eccessivo quando durata, frequenza ed intensità superano quanto è necessario per ottenere benefici per la salute (camminare eccessivamente, rimanere in piedi al posto di stare seduti, allenarsi più volte in un giorno). L’esercizio è definito compulsivo quando l’individuo sente di non riuscire a farne a meno, assumendo la proprietà rispetto alle altre attività della giornata.
Precede in alcuni pazienti, in particolare i maschi, la restrizione dietetica, può determinare danni fisici significativi, interferisce con il recupero del peso nei pazienti sottopeso ed è predittore di scarsa risposta al trattamento nell’Anoressia Nervosa. L’esercizio fisico eccessivo e compulsivo pone una sfida per i clinici sia in termini di valutazione diagnostica sia per il trattamento.»
Lo sport, se da un lato può essere deleterio, dall’altro può aiutare a guarire? Come?
«Lo sport diventa deleterio quando perde la sua natura benefica e assume la forma di sintomo.
L’attività sportiva può essere una risorsa per le persone affette da Disturbi Alimentari se inserita in un contesto di cura multidisciplinare. Troppo spesso tendiamo a generalizzare ma la realtà clinica ci mostra come ogni intervento di cura è unico e vale per quello specifico individuo.»
Che cosa ne pensa del movimento della “body positivity”? È giusto sempre e comunque promuovere l’accettazione del proprio corpo anche se implicitamente si sta alimentando un dca?
«Ne condivido la visione “dell’accettazione della diversità” e mi chiedo il significato di “positivo” legato al corpo. Il movimento promuove una narrazione secondo cui ogni corpo è valido a prescindere dal fattore “salute” e questo può alimentare il fraintendimento di un inno all’obesità.
Credo che nel tempo le buone intenzioni del movimento abbiano assunto una nuova forma che spesso ha indossato i panni della spettacolarizzazione del corpo e lo svilimento della sofferenza per un fisico percepito sbagliato.»
Insegnare, anche all’interno delle scuole, i principi dell’alimentazione può essere un modo per prevenire?
«La scuola rappresenta un luogo privilegiato per interventi di prevenzione primaria (azioni volte a diminuire il numero di nuovi casi di un disturbo o di una malattia). Far incontrare alle giovani generazioni i temi della food safety e food security (salubrità e sicurezza alimentare), favorire il riappropriarsi del “nutrirsi” esplorandone il senso emotivo e culturale sicuramente rappresentano semi preziosi da innestare.»
Anna Illiano
Illustrazione di Alice Gallosi
Vedi anche: Riflessioni di una (ex) ragazza grassa