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Una vita in bilico sul piatto della bilancia

Se dovessi descrivere la mia vita con un’immagine, userei quella di un funambolo che cammina su una corda sospesa nel vuoto. 

A turno il piede destro e il piede sinistro si sbilanciano da un lato all’altro, sforzandosi goffamente di mantenere quell’equilibrio precario che in un nonnulla potrebbe infrangersi. 

Un attimo di distrazione e potrei ritrovarmi giù.

Non sono mai stata una persona equilibrata, passo da un eccesso all’altro. 

Questo modo di agire investe ogni aspetto della mia vita, anche il rapporto con il cibo. Per un periodo mangio poco e dimagrisco, per un altro mangio come se non ci fosse un domani e ingrasso. 

Nei primi anni d’infanzia, stando ai racconti della mia famiglia, avevo uno stomaco molto “selettivo”. Questo no, quello neanche. Non si capiva cosa mi piacesse mangiare. Fin quando non ho scoperto il mio paradiso in terra: i dolci

Alla fatidica domanda: “dolce o salato”? Io ho sempre risposto, senza alcuna esitazione, dolce! Non ho limiti quando si tratta di dolciumi. Posso anche sentirmi talmente piena da esplodere, ma per il dessert ci sarà sempre spazio. 

Sono capace di mangiare un barattolo intero di nutella nel giro di un’ora, tanto per fare un esempio. Menomale che non lavoro in una pasticceria! Probabilmente nessun ordine arriverebbe integro nelle mani dei clienti. 

La mia voracità lascia sbigottiti i miei spettatori. Una volta, andata in una “gelateria fai da te”, mi sono sbizzarrita al punto da comporre un gelato da 1 kg. Il negoziante ha scattato una foto per lo stupore e i miei amici erano convinti che non sarei riuscita a mangiarlo… e invece ho ripulito la vaschetta fino all’ultimo grammo.

Non che con il salato sia più clemente. Crescendo ho integrato un numero sempre maggiore di alimenti e sono diventata la regina della tavola e dei buffet! Sono l’amica che mangia i tuoi rimasugli, quella che fa bis, tris… anche tombola, se ce n’è l’occasione!

I miei genitori, chiaramente preoccupati per il mio regime alimentare malsano, le hanno provate tutte. Sono arrivati persino a chiudere a chiave nei cassetti il cibo spazzatura, ma io, ad ogni modo, riuscivo a procurarmelo. Sembra quasi una storia di droga e, effettivamente, si può dire che ero dipendente dai prodotti dolciari. Capitava raramente che in una giornata non mi rimpinzassi di schifezze.

Quando a scuola i miei compagni – vedendomi ingurgitare una merendina all’ora – mi avvertivano che continuando per questa strada sarei andata incontro a problemi di salute e avrei messo su peso, non davo importanza alle loro parole.

Il cibo mi rendeva felice.

Poi è successo. I vestiti non mi entravano più, cominciavo a ricevere sgradevoli commenti del tipo “sei ingrassata”, l’ago della bilancia si spostava di chilo in chilo e la mia immagine riflessa nello specchio mi disgustava. La sola idea di mettermi in costume mi terrorizzava.

Avevo preso più di 10 kg. Il mio peso superava l’altezza. La misura segnata su quella bilancia, per una come me, alta un metro e un chewing gum, voleva dire che ero in sovrappeso. Mi ci è voluto un po’ prima di rendermi conto che la situazione mi era sfuggita di mano. L’accettazione e l’ammissione del problema non avvengono mai a cuor leggero.

Mi sono rivolta a un nutrizionista. Mentre mi trovavo in sala d’aspetto per la prima visita, sentivo dentro di me un grumo di paure. Ce l’avrei fatta? 

Quando il medico mi ha chiesto cosa mangiassi, sentendo la mia risposta, si è messo le mani nei capelli. Andavano radicalmente modificate le mie abitudini alimentari.  Le prime settimane sono state davvero dure. Ci vuole forza di volontà, costanza e pazienza per cambiare usi sedimentati da 20 anni. Non lo nego: non sono mancati i momenti di debolezza, ma ormai mi ero incaponita. Dovevo riuscirci, dovevo farlo per il mio benessere psicofisico.

Ho rieducato il mio palato a pietanze a me prima ignote e ho scoperto che erano buone, finanche le verdure da sempre ripugnate. Il mio stomaco si rimpiccioliva e si abituava alle novità. 

Di mese in mese la situazione andava migliorando. Stavo perdendo quei maledetti chili di troppo che mi facevano sentire un mostro deforme. Anche il nutrizionista era orgoglioso dei miei veloci progressi. Poi ho integrato alla corretta alimentazione la palestra e ho finalmente raggiunto il mio peso forma ideale in meno di un anno. Un grande risultato!

“Quanto sei dimagrita”, “stai benissimo” e tutta una serie di complimenti di tal tipo mi piovevano addosso e mi gratificavano. Ho seguito il mantenimento – la fase più importante post dieta – con rigore per un paio di anni. 

I complessi erano spariti? Certo che no. L’orma del grasso ti rimane incollata addosso, ingombrante. Anche dopo aver seguito il percorso di dimagrimento, ho continuato a sentirmi sbagliata nel mio corpo. Non che mi sia mai piaciuta, ma quell’esperienza mi ha segnata nel profondo. 

Dovevo mantenere l’autocontrollo a ogni costo, uno sgarro e avrei rischiato di ricadere nella spirale dell’ingordigia. Ero ossessionata dalle chilocalorie giornaliere e, non appena superavo il tot consigliato, mi fissavo davanti allo specchio e commiseravo la mia pelle flaccida, la circonferenza delle gambe ancora sovrabbondante, il gonfiore addominale. 

Oggi, a distanza di qualche anno, il fantasma del sovrappeso mi tormenta ancora. 

La mia relazione complicata con il cibo ha solo mutato forma. Non ero mai stata una persona ansiosa, finora. Da qualche mese a questa parte non c’è stato giorno in cui mi sia svegliata o addormentata senza sentire un macigno sul petto. 

L’ansia ha stimolato in me una fame nervosa, sballando nuovamente i miei ritmi alimentari. Quindi la situazione attuale è questa: mangio per non pensare, per noia, per riempire i vuoti e va detto che, in un primo momento, le scorpacciate sortiscono l’effetto desiderato.

Dopo, però, arrivano le paranoie e i pentimenti e l’unica cosa che vorrei inghiottire sono le lacrime e i sensi di colpa. Eppure, vista dall’esterno, sembro una ragazza sicura di me, a tratti anche vanitosa. In realtà, nascondo la mia scarsa autostima sotto vestiti eleganti e make up elaborati.

Ma non sto qui a raccontarvi i miei patetici tormenti. Il punto è che sottopeso, normopeso o sovrappeso, non ci sentiremo mai abbastanza. L’insicurezza genera demoni, soprattutto nell’era social in cui veniamo bombardati da modelli irraggiungibili che amplificano il nostro disagio. 

Ciò che dovremmo imparare – lo afferma una che ancora stenta a farsene capace – è che la perfezione non esiste. Avere un problema col cibo non è sintomo di debolezza, non è uno stigma. Può succedere a tutti, anche a quella bellissima modella che segui su Instagram e ti sembra inscalfibile.

Non sei sol*! Parlane, sfogati, reagisci! Ma ricorda: non devi farlo per inseguire standard di bellezza tossici o per piacere a qualcun altro, bensì solo ed esclusivamente per vivere bene con te stess*.

Quando avrai maturato questa consapevolezza, riuscirai a stare in equilibrio sul filo della tua vita. 

 Giusy D’Elia
Foto di Giovanni Allocca

Leggi anche: Disturbi alimentari: cosa si nasconde dentro i nostri corpi – intervista alla psicologa Vania Costa

Giusy D'Elia

Disordinata, ansiosa, testarda, logorroica… ma ho anche dei difetti. I pregi scoprili leggendo i miei articoli! Sono Giusy D’Elia, classe 1997. Studio Filologia moderna perché credo nel valore della cultura umanistica. Ho un mondo dentro che ha paura di uscire, ma La Testata mi sta aiutando a farlo esplodere! Sono la responsabile di Tiktok.
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