Storia di un furto e di un cervello in cantina
Conosciamo tutti Albert Einstein, il geniale fisico tedesco che vinse nel 1921 il Premio Nobel per i suoi contributi alla fisica teorica, ma forse in pochi sono a conoscenza del furto del suo prodigioso cervello avvenuto subito dopo la sua morte.
Era il 1955 quando il noto fisico morì di un aneurisma dell’aorta addominale all’età di 76 anni. Il corpo fu affidato al patologo Thomas Harvey per l’autopsia prima di venire cremato, su specifica volontà del defunto, lontano dai fasti mediatici e dalla mondanità.
Ciò che nessuno si aspettava durante l’intima e segreta cerimonia di addio è che il corpo del geniale fisico non fosse stato cremato del tutto. Il patologo Harvey, infatti, affascinato come tantissimi altri dalla straordinaria intelligenza di Einstein, aveva estratto il suo cervello senza il consenso del defunto né dei familiari, sezionandolo e conservandolo in barattolo per poterlo studiare con l’aiuto degli specialisti più affermati al mondo.
Il furto costò ad Harvey non soltanto il lavoro e il rispetto dei colleghi, ma anche il matrimonio, poiché sua moglie trovò inaccettabile la presenza di quel cervello preso senza autorizzazione e conservato in cantina. Unico appoggio gli venne in seguito, paradossalmente, da Hans Albert, il figlio di Einstein, che in quel gesto vide un’opportunità per la comunità scientifica di progredire, cosa che rientrava sicuramente negli interessi del padre.
Fu difficilissimo per Harvey trovare neurologi disposti ad analizzare l’organo rubato; alcuni disprezzavano ciò che aveva fatto, altri non credevano che il cervello fosse veramente quello del prodigioso fisico.
Alla fine, riuscì a far esaminare alcuni campioni, e una volta ottenuto il pubblico benestare di Hans Albert, sempre più scienziati si interessarono alle ricerche effettuate.
Il cervello è risultato essere più piccolo della media, con una corteccia prefrontale (l’area responsabile della cognizione spaziale e del pensiero matematico) leggermente più sviluppata, una cresta in più nel lobo frontale medio (collegato alla programmazione e alla memoria di lavoro) e un corpo calloso tra gli emisferi più spesso del comune.
Tutto sommato, però, ciò che è stato osservato non ha rivelato nulla di sconvolgente – o particolarmente “anormale” – che possa spiegare appieno il genio di Einstein. E la comunità scientifica ha spostato il focus d’interesse verso il suo DNA.
Nel frattempo, i resti del cervello di Einstein sono finiti in mano al Mutter Museum of the College of Physicians di Philadelphia per volere degli eredi di Harvey, che li ottennero alla morte del patologo nel 2007.
Insieme ai frammenti, sono esposte diverse fotografie realizzate da Harvey stesso, rimaste inedite fino alla sua dipartita.
Claudia Moschetti