Sublime, l’orrendo che affascina
Vi è mai capitato di ritrovarvi a guardare un paesaggio, di vedere un’eruzione, un uragano, di guardare i fulmini nel cielo nero e sentirvi così spaventati e pietrificati da arrivare a percepire una certa bellezza?
Questa sensazione, per quanto strana e difficile da mettere nero su bianco, ha un nome preciso: il Sublime.
Mi capita quando guardo il mare di notte; quando ho visto per la prima volta le cascate di Krka in Croazia immerse in un verde intenso e abbagliante.
Mi capita quando vedo la montagna di Miseno che si staglia sul mare blu; quando, durante un temporale, le onde si alzano minacciose.
Mi capita quando mi sveglio nel cuore della notte a causa di quelle brevissime scosse di terremoto che scuotono continuamente i Campi Flegrei.
Mi capita quando vedo i profili maestosi delle montagne stagliarsi nel cielo buio della notte.
Mi sento terrorizzata, angosciata, spaventosamente impotente. Eppure, in questo mio sgomento, non riesco a non pensare alla bellezza.
Non mi ero mai soffermata a pensarci più di tanto in passato; poi, però, all’università, durante il corso di letteratura inglese del primo anno, la professoressa cominciò a parlarci del Sublime, questo concetto che in molti – a partire dal XVIII secolo – hanno iniziato a studiare e analizzare.
Tre sono i filosofi che hanno meglio articolato questo concetto: Edmund Burke, Kant e Schopenhauer.
In tutti e tre il Sublime è profondamente contrapposto al Bello, due facce della stessa medaglia, ma inevitabilmente opposte l’una all’altra.
Per Burke il Sublime è quel sentimento di impotenza e di paura che scaturisce dall’osservazione di tutto ciò che può suscitare idee di dolore, pericolo, morte. Tutto ciò che è terribile, ma che allo stesso tempo affascina.
È un delightful horror, l’orrendo che affascina e lo si può ritrovare nei mari in tempesta, nelle eruzioni vulcaniche, nei terremoti, anche nella semplice osservazione di un paesaggio sconfinato.
Attenzione, però! Sì, il sublime è la più grande emozione che l’animo umano possa mai provare, ma non è di certo un’emozione positiva, né tantomeno scaturisce dalla mera osservazione dei fenomeni che ho elencato.
Il discorso è più complesso e affonda le radici nel profondo e complicato mondo della psiche umana.
Il sublime, infatti, secondo Burke nasce dalla consapevolezza dell’insuperabile distanza che separa il fenomeno dall’uomo, che si sente piccolo e insignificante.
Non sono tanto dissimili le concezioni sviluppate da Kant e Schopenhauer.
Per il primo, il Sublime – concetto che articola nella sua Critica del Giudizio – ha due ramificazioni: il sublime dinamico, ovvero espressione della potenza annientatrice della natura di fronte alla quale l’uomo prende coscienza della sua limitatezza; il sublime matematico, ovvero osservazione della natura immobile e “fuori dal tempo”.
Per Kant, di fronte alla vastità, all’immensità e alla magnificenza della natura, l’uomo si sente frustrato, angosciato, smarrito, ma queste sensazioni negative si tramutano poi in sollievo, che deriva dal fatto di essere consapevoli che egli è l’unico essere dell’universo dotato di un agire morale, l’unico in grado di imporsi sulla natura e di modificarla e, di conseguenza, non è affatto un suo sottoposto.
Il Sublime, però, anche per Kant serve a produrre nell’uomo la consapevolezza della propria limitatezza, un misero e minuscolo puntino in mezzo a un universo infinito.
Per Schopenhauer, infine, il Sublime non è altro che il sentimento di piacere che scaturisce dall’osservazione di un oggetto o di un fenomeno potenzialmente letali e distruttori.
Nell’osservazione di questo fenomeno che appare ostile, dunque, l’uomo riesce a superare il primo stadio di paura causato dalla natura funesta del fenomeno e arriva a contemplarlo e ad apprezzarlo non più in quanto fenomeno in sé, ma in quanto idea.
Sembra strano e assurdo, un’accozzaglia di cose senza senso, eppure non è così.
Ricordo ancora che, durante quella lezione in università, quando la professoressa spiegò questo concetto, io rimasi lì a pensarci, ferma all’espressione “orrendo che affascina”.
Doveva essere quella la sensazione che provavo ogni volta che mi ritrovavo a osservare determinati fenomeni e oggetti.
Doveva essere per forza sublime quello strano senso di paura e di morte che si tramutava in piacere e contemplazione.
È una sensazione che, quando la provi, non te la scordi più.
Anna Illiano