Il prezzo della libertà
“Ho imparato una cosa che tu ancora non sai: esistono affetti che è molto bello avere ma che hanno un loro prezzo. E io voglio essere uno di quelli.”
Ho conosciuto Karen Blixen guardando “La mia Africa”, il film del 1986 tratto dall’omonima biografia. Ero in quel periodo della vita in cui avevo collezionato tutta la filmografia di Meryl Streep, Robert Redford, Al Pacino e Barbra Streisand. Quei momenti in cui ti fissi fortemente per qualcosa e non riesci ad uscirne.
Forse avevo 16 anni, allora conoscevo poco e niente sul cinema ed ero affamata di saperne di più soprattutto sul mondo americano.
Ammetto che tutto è nato dall’interpretazione di Meryl Streep, altrimenti probabilmente oggi non saprei neanche chi fosse la nostra protagonista di oggi.
Karen Blixen, pseudonimo di Karen Christence Dinesen, nacque a fine Ottocento in Danimarca. Faceva parte di una famiglia benestante e visse tutte le agevolazioni che il suo ceto sociale comportava, nonostante perse il padre, morto suicida, a soli 9 anni.
Ma Karen era uno di quegli spiriti ribelli che difficilmente riesci a trattenere, soprattutto in un ambiente fatto di etichette e di rigide regole da rispettare.
Aveva già pubblicato dei racconti a 22 anni, ma poi decise di partire per l’Africa col cugino svedese Bror, il quale divenne suo marito nonché socio in affari con l’apertura di una fattoria.
I due furono entrambi infedeli, lui mischiò a lei la sifilide, malattia che le causò una salute cagionevole per tutta la vita; lei si innamorò di Denys (Robert Redford, nel nostro caso), un altro spirito libero, un avventuriero, di lui si sapeva quando partisse ma non si sapeva quando sarebbe tornato:
“È una strana sensazione dirsi addio, c’è anche un po’ di invidia: gli uomini se ne vanno perché il loro coraggio sia messo alla prova, di noi, ciò che viene messo alla prova è la pazienza, il vivere senza di loro, il saper sopportare la solitudine, ma questo l’avevo sempre saputo. Io non avevo voluto una guerra, avevo detto addio a Bror e Denys se n’era andato senza una parola.”
– La mia Africa, 1986.
Ora, da qui partono due versioni della storia: quella vera, in cui Denys muore schiantandosi col suo biplano, ma questa sarebbe la fine del film, senza conoscere il lato romanzato della storia, e a noi la verità non piace, noi vogliamo rifugiarci nella finzione e nella fugacità della sceneggiatura degli anni ‘80.
Anche perché in questa fugacità esistono ben dodici anni vissuti in Kenya, nelle pianure dello Ngong, probabilmente la parte più felice della vita di Karen, nonché motivo di ispirazione per il suo libro più famoso, appunto, “La mia Africa” da cui hanno tratto il film.
Quindi cosa mi ha attratto di Karen tanto da considerarla un’ispirazione ancora oggi, dopo tanto tempo passato a guardare quel film e a leggere quel libro? Libro che, detto tra noi, è completamente distaccato dalla sceneggiatura cinematografica, anzi è, più che altro, una cronaca didascalica dei suoi anni in Kenya, nulla di romantico, nulla di particolarmente coinvolgente.
Di Karen mi ha sempre colpito il coraggio di mostrarsi al mondo per quello che voleva essere: voleva andare in Africa e ci è andata. Voleva sposarsi col cugino per iniziare una carriera imprenditoriale e si è sposata. Nel frattempo ha anche lasciato spazio al cuore di innamorarsi e di lasciarsi andare ai sentimenti più puri e smisurati.
In un tempo, di inizio Novecento ricordiamo, fatto ancora di soli uomini, lei ha costruito la sua storia, dominandola, essendone padrona, senza permettere a nessun altro di scrivere le pagine del libro al suo posto.
Questa, la mia citazione preferita che, secondo me, descrive perfettamente la forza della sua personalità:
“Sai, c’è una cosa che ho imparato a fare negli ultimi tempi: quando tutto mi va malissimo e sento che non ce la faccio più, allora provo a peggiorare le cose: mi costringo a pensare al nostro accampamento sul fiume e a Barkley e alla prima volta che mi hai portata con te in volo, è stato tutto così bello. E quando sono assolutamente sicura di non poter più resistere, vado avanti fino a un attimo dopo, allora so che posso sopportare qualsiasi cosa.”
– La mia Africa, 1986.
Lucia Russo
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