Tupac, “The most dangerous weapon: an educated black man”
Ribelle, rivoluzionario, aggressivo, passionale, sensibile: Tupac Amaru Shakur è stato questo e molto di più.
Lasciando un segno indelebile nella storia della musica, Tupac è una leggenda.
Il 16 giugno avrebbe compiuto 51, ma dei colpi di pistola lo portarono via, il 13 settembre del 1996.
Il destino di Tupac è stato scritto già nel suo nome. Nato ad Harlem, il suo nome è quello di Tupac Amaru II, un rivoluzionario peruviano che combatté contro i colonizzatori spagnoli. La madre di Tupac Shakur, Afeni, era un membro delle Pantere Nere. Cresciuto solo dalla madre, Tupac e Afeni erano costretti a vivere in condizioni di povertà, nei ghetti di Brooklyn.
Ma l’ambiente familiare dell’artista era diverso: sua madre era un’attivista, così come il padrino di Tupac (Mulutu Shakur) e la sorella di Mulutu, Assata. Fin da ragazzo, Tupac si distingue per le sue capacità di scrittura: era considerato, tra l’altro, un ottimo studente dai suoi insegnanti. Amante della letteratura, Tupac adotterà lo pseudonimo di Makaveli (ovvero Machiavelli) per uno dei suoi sette album postumi, The Don Killuminati: The 7 Day Theory.
Se Tupac non fosse morto a soli 25 anni, molto probabilmente la sua vita sarebbe stata interamente devota alla musica. Lo stesso Shakur aveva stabilito che ogni cinque anni, sarebbe stato pubblicato un suo album. La vita di Tupac, così breve ed intensa, gli ha consentito di esplorare luoghi, persone, temi, che fino ad allora non erano molto approfonditi. Pochi artisti hanno avuto il coraggio e la non comune capacità di descrivere con crudezza e al contempo empatia il ghetto, le sue complicazioni, le possibilità di soluzione come Tupac.
I primi due album (2Pacalypse Now; Strictly 4 My N.I.G.G.A.Z.) sono un manifesto per la comunità afroamericana dei ghetti. Entrambi si concentrano su un tema cardine: la violenza della polizia nei confronti dei neri, specialmente dei giovani maschi. La tensione, la preoccupazione che ogni giorno un ragazzo nero prova anche solo camminando per strada la percepisci anche se non hai trascorso nemmeno un giorno della tua vita in un ghetto nordamericano.
Alcuni tristissimi casi di evidente odio razziale vengono citati da Tupac: Rodney King e Latasha Harlins. Entrambe le uccisioni sono inesplicabili e assurde, e Tupac non ha paura di rendere conto come la polizia, se non direttamente omicida, diventa complice delle uccisioni a danno degli afroamericani, manifestando indifferenza o addirittura fastidio durante le indagini.
In un ambiente tendenzialmente maschilista come quello dell’hip-hop e del rap, Tupac fa un’altra cosa innovativa: dedica alcune canzoni alle donne nere. Part Time Mutha (Mutha significa Mother) è una struggente canzone, con la campionatura di Part Time Lover di Stevie Wonder, molto realistica. Part Time Mutha è la storia di Cindi, con una madre prostituta e un patrigno che la violenta. Cindi aspetterà un figlio da questi. La ragazza riferisce delle violenze subite a sua madre, ma sua madre Part Time (perché spesso assente), non le crede. Cindi aspetta un figlio, Cindi è destinata a diventare a sua volta madre Part Time.
Keep Ya Head Up è un altro pezzo, questo tratto dal suo secondo album (con un Tupac anche più arrabbiato rispetto al primo), dedicato alle donne nere, spesso maltrattate ma forti, spesso madri single. Tupac esorta gli uomini a trattare le donne con rispetto, ammonendo che se l’uomo è violento, lo sarà anche suo figlio, e questo malsano percorso non si spezza più.
Entrambi gli album sono un enorme successo di critica e di pubblico, ma la fama non è tutto. Tra il novembre del 1993 e quello del 1994 due eventi destabilizzano l’artista: l’accusa di abuso sessuale da una sua fan e l’attacco ai Quad Recording Studios. Riguardo all’accusa, Tupac si è sempre dichiarato innocente.
Inizialmente condannato a quattro anni e mezzo di prigione, fu pagata un’ingente cauzione da Suge Night, CEO della Death Row Records. L’attacco agli Studios è l’inizio della faida hip hop tra East e West Coast. Durante l’attacco, Tupac fu sparato cinque volte da due uomini, ritenuti dal rapper guardie del corpo di The Notorius BIG. Derubato di quasi tutti i suoi averi, Tupac fu trascinato all’ascensore, e una volta arrivato al piano in cui si trovavano Biggie ed altri, Tupac nota una stranezza: tutti erano stupiti che fosse ancora vivo. Mancava, quindi, una normale preoccupazione per quanto accaduto. Come se qualcosa fosse stato premeditato. Tupac inizia a nutrire sospetti, e crede che ci sia un collegamento tra l’accusa di violenza sessuale e la rapina, avvenuta poco tempo dopo la condanna.
Durante il suo periodo di prigionia, esce il terzo album: Me Against the World. L’album fu immediatamente un grande successo, giungendo alla posizione numero uno della Billiboard 200. Ad oggi, il terzo album è considerato il migliore di 2pac.
Questo terzo album è sicuramente il più introspettivo e intimo dell’artista: “I’m losin my homies in a hurry. They’re relocation’ to the cemetery. Got me runnin’, stressin’, my vision’s blurry. The question is will I live?” (dalla traccia Me Against The World). So Many Tears riguarda direttamente l’esperienza del carcere, e l’ombra della morte che da sempre perseguita il ghetto, ma che Tupac ormai sente, concreta e affannosa, alle sue calcagna.
Sulla violenza del ghetto e del suo vortice pericoloso è esponente la traccia Young Niggaz, dedicata a Robert “Yummy” Sandifer, giovanissimo membro dei Black Disciples, gang di strada, morto a 11 anni. Me Against the World è anche l’album di Dear Mama, una dolcissima lettera d’amore per la madre di Tupac, all’epoca incinta e in prigione per il suo attivismo (“Ain’t a woman alive that can take my mama’s place”).
L’ultimo album in vita del rapper è molto diverso dai precedenti. Ormai ricchissimo, di successo, invidiato e amato da molti, Tupac si lascia andare all’autoreferenzialità con All Eyez on Me, strepitoso successo commerciale, il migliore di Tupac. Quest’album è il simbolo di un periodo mai più ripetuto: la Thug life, gli NWA, il rap crudo che documenta il ghetto, la morte dei due pilastri Tupac e Biggie, entrambe offuscate da ambiguità che hanno condotto a molti complotti. Suge Knight (da molti considerato l’architetto dei due omicidi) permise a Tupac di uscire dalla prigione, ma in cambio di tre album. Grazie al doppio disco di All Eyez on Me, la casa discografica riuscì letteralmente a vivere di rendita, fino alla sua bancarotta avvenuta nel 2006.
Tupac Shakur era ed è un’icona mondiale. Tupac non è mai davvero morto. Sua madre Afeni, nel 1997, ha fondato la Tupac Amaru Shakur Foundation, che si occupa di fornire un’educazione artistico creativa di qualità ai ragazzi, offrendo anche stage e borse di studio. L’eredità musicale di Tupac è incommensurabile: è grazie a lui e pochi altri pilastri che l’hip hop e il rap sono ancora in vita.
Forse scomodo a qualcuno, di sicuro tenuto sotto controllo dalla polizia (tutta la sua famiglia è attivista e andata in prigione più volte per questo), Tupac ha davvero fatto sorgere il dubbio, con la sua morte (mistero ancora irrisolto), che “the most dangerous weapon: an educated black man”.
Aurora Scarnera
Copertina: jlmaral via Flickr | Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)