Carla Fracci: quel “fiore che ancora si rincarna e meraviglia”
“L’eterna fanciulla danzante”, è così che Eugenio Montale definì Carla Fracci, icona della danza e regina di palcoscenici mondiali.
Carla nasce il 20 agosto del 1936 a Milano, città che sarà il teatro del suo debutto alla danza e alla vita. Dopo aver incantato la commissione con la sua dolcezza, inizia a studiare danza classica alla scuola di ballo del Teatro alla Scala sotto la guida della coreografa Vera Volkova. Si diploma nel 1954 e diventa prima ballerina dopo soli due anni.
Una coreografia lunga una vita intera la sua, fatta di ostacoli da superare ma anche di un sogno che diventa realtà: trasformare il suo impegno in pura arte.
Tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Settanta danza per compagnie straniere di rilievo: il London Festival Ballet, il Royal Ballet, il Balletto di Stoccarda e il Balletto reale svedese.
Più leggera dell’aria, più lieve di un sospiro: Carla riempie con la sua personalità e la sua danza i palcoscenici di tutto il mondo, mostrando il suo splendore in ruoli romantici e drammatici, quali Giselle, il suo “cavallo di battaglia”, Romeo e Giulietta, Coppelia, La Sylphide, Medea e Francesca da Rimini.
Accanto a lei non uno, ma tantissimi principi del balletto internazionale: Mikhail Baryshnikov, Vladimir Vasiliev, Alexander Godunov, un giovanissimo Roberto Bolle e, non ultimo, Rudolf Nureyev che la definì “padrona di tutti gli stili” dicendole: “Non puoi smettere di ballare, tu sei la danza”.
Nel 1981 il New York Times la definisce prima ballerina assoluta.
Dopo anni di esperienza, inizia a trasmettere la sua arte: negli anni Ottanta dirige il corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli, dal 1996 al 1997 si dedica al corpo di ballo dell’Arena di Verona e dal 2000 al 2010 si sposta al Teatro dell’Opera di Roma.
Si spegne a Milano, leggera e silenziosa come è sempre stata, il 27 maggio 2021, all’età di 84 anni a causa del cancro.
Una vera e propria fiaba la sua, di cui chignon, tulle e scarpette da punta sono protagonisti, un racconto che non è scandito dalle parole, ma dal rumore dei passi.
Ha vissuto la sua vita volando, ma come lei ha sempre precisato: “con le radici ben piantate a terra”.
In ogni intervista ha sempre raccontato delle sue origini da “contadinella”, del suo matrimonio e del suo desiderio di avere altri figli, riconoscendo il valore degli affetti e dell’amore.
Rievocava spesso le figure dei suoi genitori: un tramviere e un’operaia, e i suoi ricordi più belli a Volongo dalla nonna materna, dove si trasferisce dopo l’inizio della guerra.
“A differenza di tante altre bambine, io non ho mai realmente sognato di fare la ballerina. […] Io giocavo con le oche, ci si scaldava nella stalla. Non sapevo cosa fosse un giocattolo, al massimo la nonna mi cuciva delle bamboline di pezza. Progettavo di fare la parrucchiera […] però sapevo ballare e così allietavo tutti al dopolavoro ferroviario, dove mi portava papà. Fu un’amica dei miei che li convinse a portarmi all’esame di ammissione alla scuola di ballo della Scala e mi presero per il “bel faccino”.”
Così, in un’intervista a Corriere.it del 13 agosto 2017, Carla parla della sua spensieratezza di bambina, dei vecchi progetti e della casualità che l’ha portata ad intraprendere una carriera da sogno e a diventare la diva della danza.
Dopo vari rinvii a causa di impegni artistici che la portano in giro per il mondo, nel 1964 sposa a Volongo Beppe Menegatti, conosciuto alla Scala e da cui ha un figlio nel 1969, Francesco.
Proprio nel periodo della maternità Eugenio Montale le dedica la poesia La danzatrice stanca, simbolo del suo ritorno sul palcoscenico dopo un periodo di lontananza. I due erano legati da un rapporto di amicizia e di stima reciproca, data l’assidua frequentazione del Teatro alla Scala da parte del poeta.
I versi parlano di un corpo che rifiorisce, di un volto che riprende colore, di una figura eterea e leggerissima che ora, dopo aver dato alla luce un figlio, non è più una creatura celeste, ma una bellezza terrestre che torna sulla scena e meraviglia il mondo, dopo un periodo di assenza in cui i balletti sembravano sfilate di morte.
Così Carla Fracci lascia un segno che il tempo non potrà cancellare, quello di una grande artista che è anche un grande esempio di vita.
Come dice Montale, il suo fiore si rincarna ancora e la sua danza continua a incantarci, consapevoli che ora continui a volare ancora più in alto, fin sopra le nuvole.
Maddalena D’Angelo
Copertina: Augusto de Luca | CC BY-SA 2.0
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