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Il rapporto tra le serie TV, la realtà e l’immaginario in un libro imperdibile

Che rapporto c’è tra la Fenomenologia e la serie culto degli anni 90 di David Lynch? Lo scopriamo con un’intervista ad uno degli autori di Black Lodge – Fenomenologia di Twin Peaks.

Quando David Lynch ha sorpreso piacevolmente tutti i suoi fan, facendo ritornare la serie di culto Twin Peaks dopo venticinque anni come profetizzato da Laura Palmer è impazzata una vera e propria mania.

Vecchi e nuovi fan della serie TV si sono uniti per cercare di interpretare la nuova opera del genio americano. Simultaneamente sono stati pubblicati alcuni libri ispirati alla serie. Qualcuno cercava di analizzarne il senso, altri erano semplici omaggi.

Tra questi mi ha colpito particolarmente un libro che ha un approccio originale e per questo ho contattato uno degli autori Adolfo Fattori, docente dell’Accademia di Belle Arti di Napoli e dell’Università Federico II, per intervistarlo.

Lascio la parola a te per fare una breve presentazione del libro per i nostri lettori

«Il libro, il cui titolo completo è Black Lodge – Fenomenologia di Twin Peaks, è a cura mia e di Mario Tirino un docente dell’Università di Salerno. L’idea è sorta ragionando sulle serie TV come forma avanzata di narrazione che ha assorbito dal grande cinema sostanza che ha rielaborato per i tempi in cui viviamo.

Mario Tirino aveva già curato degli articoli sulle prime due serie di Twin Peaks. Abbiamo coinvolto altri colleghi appassionati per parlare della terza stagione. Siamo soddisfatti del risultato».

Come descriveresti ad un profano la fenomenologia e qual è secondo te la relazione tra Twin Peaks/David Lynch e la fenomenologia?

«Noi siamo al cospetto della realtà e abbiamo delle modalità di interpretarla che sono legate ai nostri retaggi personali, educazione e cultura in primis. L’approccio fenomenologico consiste nell’astrarsi da questo provando a studiare non solo la realtà ma anche il fatto che noi la interpretiamo in una certa maniera. Questo ci permette di fare un’operazione di relativizzazione.

Lynch è in grado di fare questo spostandosi sulla dimensione dell’immaginario portando lo spettatore nella dimensione del simbolo che noi comunque ci portiamo dentro. Questo prescinde dalla cultura contingente e ha a che fare con una dimensione più archetipa e antica. La sua attenzione al soprannaturale è sempre presente facendoci intuire che esiste altro rispetto a ciò che vediamo. Noi tendiamo a neutralizzare le parti più preoccupanti della realtà, parti che però sono lì».

Credits: Copertina del libro su concessione dell’autore

Infatti non è facile parlare della paura, un sentimento che spesso è un tabù, eppure Lynch conquista gli spettatori proprio con un mix sapiente di mistero e inquietudine. Puoi spiegare ai nostri lettori come ci riesce?

«Lynch ha una straordinaria capacità evocativa e riesce a materializzare, nonostante lo schermo bidimensionale, delle allusioni alle sfere che sono oltre sfruttando la straordinaria potenza del cinema.

Il cinema permette di dare corpo all’immaginario attraverso le allusioni. Per tutto l’ottocento lo spettacolo teatrale più rappresentato è stato il Frankenstein. Il pubblico voleva si concretizzasse ciò che temeva e percepiva ma che gli era impossibile vedere».

Quanto ha cambiato il mondo del cinema e della televisione un prodotto come Twin Peaks e condotto al presente in cui la serie TV sta forse soppiantando il cinema o quanto meno integrandosi ad esso?

«Le persone sono cambiate rispetto al passato. L’organizzazione della vita è differente. Nel ‘900 era normale andare al cinema. Poi la routine è mutata in contemporanea con la diffusione della televisione. In realtà questa nacque in Russia nel 1926, ma non c’erano le tecnologie che l’avrebbero resa ciò che poi è diventata.

Quando è diventata ciò che conosciamo, dopo la Seconda guerra mondiale, la vita stava già cambiando rispetto a prima. Ad esempio l’organizzazione del lavoro e dell’istruzione. Questo ha portato le persone a trascorrere più tempo a casa.

La prima tappa fondamentale della serialità televisiva è rappresentata da Ai confini della realtà. La seconda tappa è proprio Twin Peaks che ha cambiato la storia della TV ed ha anche affermato che questo cambiamento era in atto. Dopo altri venticinque anni le caratteristiche sono cambiate ulteriormente, come pure la vita quotidiana.

Nei primi tempi della serialità televisiva non esistevano degli studi appositi per girare, lo si faceva negli Studios, luogo deputato solitamente al cinema. Ora si è tornati al cinema in altri termini. Si è creata una profonda sinergia adesso che ha dato vita ad una serialità con contenuti di pregio, a partire da Lost».

Tu sei un professore universitario e un esperto di sociologia, quanto è importante andare oltre le materie in senso teorico e sedurre gli studenti con tematiche accattivanti come le serie TV ed altri prodotti di intrattenimento?

«La sostanza del mio insegnamento è questa, ragionare in termini teorici non avrebbe senso. Come diceva Shakespeare ne La tempesta, citato anche nel film Il falcone maltese: “Noi siamo fatti della sostanza di cui sono fatti i sogni”. Si tratta della stessa materia del cinema e delle serie TV, quella del nostro immaginario che poi si fonde con la realtà, condizionandola».

Sara Picardi

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Sara Picardi

Adoro la comunicazione e ho il privilegio di lavorare in questo settore, principalmente in ambito grafico. L’arte ed il gioco sono due delle mie più grandi passioni e trovo si somiglino: permettono di andare in profondità, in se stessi e negli altri in maniera leggera. Venero musica, natura e poesia come divinità pagane; pago loro i miei tributi allevando un gatto con poteri magici, scrivendo e suonando il basso in una band punk. Colleziono crepuscoli, segreti e nuvole delle forme più strane.
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