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Sylvia Plath, quando la tristezza genera arte

Era una sera di gennaio quando, dopo aver messo a letto i bambini e aver preparato la colazione per il giorno dopo, Sylvia Plath, che in quel periodo era al culmine della sua carriera, si tolse la vita, infilando la testa nel forno

Sylvia Plath nacque nel distretto di Boston e fin da subito dimostrò di essere molto più precoce degli altri bambini, pubblicando la sua prima poesia all’età di soli otto anni. Proprio quello stesso anno, però, la morte improvvisa di suo padre segnò quello che fu l’inizio di una crisi depressiva molto profonda.

Sebbene avesse considerato altre carriere, la Plath scelse di percorrere una carriera artistica e vinse una borsa di studio che le permise di studiare presso lo Smith College. La sua carriera universitaria terminò non senza intralci perché, proprio il penultimo anno, tentò il suicidio per la prima volta, motivo per cui fu ricoverata in un ospedale psichiatrico.

Fu in quegli anni che conobbe il poeta Ted Hughes, il suo unico e grande amore. I due vissero anni sereni, spalmati di poesia, in cui Sylvia diede il meglio di sé. Già in quegli anni, infatti, stava componendo una raccolta che uscì solo molti anni più tardi.

I due si sposarono nel giro di qualche mese e, dopo la luna di miele, si ristabilirono a Cambridge, dove Sylvia iniziò la sua carriera di insegnante che però concluse in fretta perché non le permetteva di avere tempo libero per scrivere. Optò, a quel punto, per fare la receptionist in una clinica psichiatrica e nel frattempo iniziò a seguire un corso di scrittura che segnò una svolta importante nella sua carriera da poetessa.

Proprio in quel periodo, infatti, venne pubblicato The Colossus, la sua prima raccolta, in cui racconta della sensazione di vuoto e del conforto che provava nella natura.

Conobbe, poi, Anne Sexton, da sempre sua amica/nemica e pubblicò più tardi il suo primo romanzo semi autobiografico, La campana di vetro, che risultò avere un successo incredibile. La trama vede una donna, Esther, che lavora in una rivista di New York, alle prese con la sua prima crisi depressiva. Il romanzo, include, però, molte descrizioni divertenti riguardanti feste snob della New York di quel tempo.

Se da un lato, però, la sua carriera artistica sembrava prendere il volo, la sua relazione andava inclinandosi sempre di più e quello che Sylvia credeva essere il suo grande amore, si rivelò, invece, un amore malato. Sylvia perse, infatti, il suo primo bambino forse per delle violenze che il marito aveva avuto su di lei. In seguito ebbero altri due bambini, ma il loro matrimonio era già finito. Si separarono poco dopo, quando Sylvia scoprì che da tempo lui aveva un’amante.

Fu proprio dopo un mese dalla pubblicazione che Sylvia Plath morì, all’età di soli trent’anni, infilando la testa nel forno dell’appartamento che aveva fittato per lei e i suoi due bambini, dopo la separazione con Hughes.

Studiosi affermano che non voleva davvero suicidarsi.

Dopo la sua morte, fu infatti ritrovata una lettera in cui chiedeva di avvertire il medico. Inoltre, sapeva che alle nove del mattino sarebbe arrivata una ragazza per aiutarla con i bambini. Probabilmente, la sua, era solo un’estrema richiesta d’aiuto.

Postumo venne pubblicata Ariel, ancora considerata una delle sue raccolte più significative, in cui la poetessa utilizzò l’immaginazione e la forza della sua penna per catturare il dolore che si trascinava dietro.

Sylvia Plath è sempre stato un animo complicato, divorato dai fantasmi del passato e dalla depressione, che l’hanno accompagnata fino alla sua morte, avvenuta ormai più di cinquant’anni fa. Quello che però ancora colpisce di lei, oltre all’estrema sensibilità, è quanto, il suo essere tormentato, sia stato così fondamentale per la riuscita della sua carriera artistica.

La sua penna, riconosciuta ancora oggi, è riuscita a rendere inquietante delle immagini quotidiane e i suoi trami, punto cardine della sua ispirazione, l’hanno resa rappresentante, insieme ad Anne Sexton, della poesia confessionale, la poesia che si ispira al vissuto personale. 

Donatella Casa

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Donatella Casa

Leggo per conoscere e scrivo per mettere ordine. Da 28 anni sono il rifugio dei miei pensieri. Viaggio per scoprire, sogno per viaggiare e credo nell’oroscopo, anche se detesto ammetterlo. Odio lo sport ma corro sulla tastiera, mi piace l’alba ma a quell’ora dormo sempre. Trascorro la maggior parte del tempo a gestire le mie contraddizioni. Credo nella gentilezza come atto di ribellione e diffido da chi dice di sapere sempre tutto.
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