Da grande voglio fare il cestista
Il panorama sportivo italiano è governato esclusivamente dal calcio, mentre i risultati degli altri sport vengono citati dai media solo in caso di eventi particolarmente importanti.
Leggendo un giornale sportivo all’estero è possibile conoscere i risultati di svariati sport, dai più seguiti a quelli meno popolari. Non si può dire la stessa cosa per la nostra patria, dove la quasi totalità del quotidiano è dedicata al calcio maschile, con qualche pagina dedicata ai motori e un paio di trafiletti qua e là incentrati sulla pallavolo e la pallacanestro.
Forse, quindi, non è superfluo specificare che tutti gli sport hanno un proprio campionato, che ha luogo tutti gli anni con tanto di ranking nazionale e regionale. Migliaia di ragazzi e ragazze, infatti, si sfidano nei palazzetti d’Italia ogni fine settimana, impegnandosi al massimo per non rendere vano il viaggio affrontato per raggiungere il luogo di gara o il prezzo del pernottamento.
Molti di questi giovani sudati e adrenalinici rinunciano quotidianamente a uscire e divertirsi con gli amici per concentrarsi sulla loro passione. Studiano negli angoli delle palestre durante le pause degli allenamenti, scontrandosi con genitori e insegnanti che non reputano l’attività svolta degna del loro tempo.
Infatti la scuola italiana non incoraggia in nessun modo uno sportivo studente, molti professori ne sono l’esempio lampante: interrogazioni il giorno dopo una gara nonostante la giustifica del Comitato Olimpico e richiami per il tempo perso a giocare sono all’ordine del giorno.
Sarebbe interessante sapere se questi professori sono gli stessi che si indignano e ridono per gli errori grammaticali che commettono gli atleti intervistati. Chi avrebbe dovuto insegnar loro la grammatica italiana li ha sempre scoraggiati, i pochi talentuosi che hanno avuto il coraggio di lasciare gli studi si ritrovano derisi dagli stessi che avrebbero dovuto sostenerli nel percorso per diventare uomini e donne.
Chissà quanti potenziali olimpionici sono stati scoraggiati in questo modo. Inoltre, per i ragazzi che decidono di avvicinarsi allo sport, specie nei piccoli paesi d’Italia, la scelta è davvero limitata, in quanto prevalgono: calcio, pallavolo, pallacanestro, nuoto e danza, mentre le arti marziali più comuni vengono etichettate come sport “particolari”.
Inutile parlare degli sport minori, identificabili facilmente dall’espressione interrogativa che compare sul volto dell’interlocutore che ha osato domandare qual è lo sport praticato.
Ma a cosa è dovuta questa enorme lacuna sportiva del popolo italiano?
Da bambini è scontato che un maschietto si iscriva a scuola calcio e una femminuccia a danza, perché non ipotizziamo mai il contrario? I mass media ci informano unicamente delle vittorie calcistiche, ma confrontando i risultati riportati dalla nazionale di calcio italiana alle olimpiadi e ai campionati internazionali con quelli di qualche sport minore i dati sono buffi assai: addirittura nel fioretto femminile individuale l’Italia è la nazionale più premiata con 45 medaglie (inutile ricordare le ben note vittorie della nazionale calcistica maschile).
Ora paragoniamo il numero di scuole calcio sul territorio italiano con il numero delle sale di scherma. Secondo un articolo pubblicato da La Repubblica le scuole calcio in Italia sono più di settemila; secondo il sito ufficiale della federazione italiana di scherma le sale tesserate sono duecentosessantanove, con una concentrazione maggiore al settentrione.
La maggiore popolarità del calcio rispetto agli altri sport è probabilmente imputabile ai media, che forniscono un’immagine deformata dello sportivo nella persona del calciatore, mostrando unicamente i frutti dei loro enormi guadagni escludendo i sacrifici compiuti per arrivare a quel punto.
Di conseguenza un ragazzo che progetta il proprio futuro non riscontra nessun difetto nel mestiere del calciatore: viene pagato tantissimo per giocare; quel gioco però implica sacrifici quotidiani per mantenere la forma fisica, senza considerare lo stress psicologico cui sono sottoposti durante le competizioni a causa del numero enorme di spettatori che esigono esclusivamente il massimo dalle loro prestazioni.
Dall’altro lato però vengono pagati milioni, quindi tutti i loro sacrifici sono ripagati egregiamente. Che dire invece degli sportivi che per poter vivere del loro sport devono arruolarsi nelle forze dell’ordine? E di tutti gli altri che continuano a pagare le società sportive per allenarsi?
Sorge spontaneo domandarsi perché il mondo del calcio sia così strettamente legato all’aspetto economico rispetto agli altri sport che sono ancora governati esclusivamente dalla passione e dalla grinta.
Marta Maresca