Il fiore del partigiano: le conquiste della Resistenza e la voce di chi l’ha vissuta
“Una liberazione di anime”, è questa la definizione che dà alla Resistenza Carlo Smuraglia, uno tra i tanti uomini che, tra il 1943 e il 1945, la Resistenza la fece davvero, scegliendo di combattere contro l’occupazione nazifascista.
Innanzitutto, è necessario introdurre il momento storico in cui si colloca il fenomeno della Resistenza italiana e qual è stato il suo valore storico.
La Resistenza italiana affonda le sue radici nell’antifascismo, sviluppatosi progressivamente nel periodo che va dalla metà degli anni Venti fino all’inizio della Seconda guerra mondiale. Si tratta, quindi, di una lotta contro l’occupazione nazifascista, portata avanti da formazioni armate costituite da partigiani.
Il 3 settembre 1943, con l’armistizio di Cassabile, l’Italia firmò la resa incondizionata agli Alleati, sancendo il disimpegno della nazione dall’alleanza con la Germania nazista di Hitler. La stipula rimase segreta fino all’8 settembre 1943, quando il proclama giunse pubblicamente dal primo ministro Badoglio.
Le forze politiche antifasciste (comunisti, socialisti, democristiani, azionisti, liberali) diedero vita, già il 9 settembre 1943, al Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), che nei 20 mesi successivi sarà la guida politica e militare della lotta di Liberazione.
La Resistenza, infatti era organizzata in brigate controllate dal CLN, ma nelle città agivano anche piccoli gruppi come i GAP (Gruppi d’Azione Partigiana) e le SAP (Squadre d’Azione Patriottiche). Le brigate erano costituite da forze eterogenee, diverse tra loro per orientamento politico e impostazione ideologica, ma unite nel comune obiettivo di lotta contro il nazifascismo e per la liberazione del paese dal nemico straniero. Parteciparono alla lotta militari e civili, persone di ogni età, censo, sesso, religione e provenienza, guidati da personalità di spicco che hanno combattuto il regime spesso pagando con il carcere, il confino, l’esilio o con la stessa vita.
Le formazioni partigiane si radunavano perlopiù in montagna, facendo i conti con le difficoltà dell’ambiente come il freddo, la mancanza di cibo e di rifugio. A tutto questo si aggiungeva la lontananza da casa e il timore che le famiglie potessero subire attacchi da parte dei tedeschi.
Le condizioni di clandestinità e segretezza in cui si doveva operare, le difficoltà di collegamento, la scarsità di mezzi e i duri colpi inferti dai nazifascisti, mettevano a dura prova l’impegno delle forze patriottiche. Ma nonostante questo il movimento di Resistenza si consolidò e si estese gradualmente su tutto il territorio nazionale, trovando consenso e sostegno in gran parte della popolazione, reggendo alla prova dei tanti arresti, torture, deportazioni nei lager e fucilazioni delle forze nazifasciste.
Il valore concreto della Resistenza italiana emerge chiaramente dalle parole di chi l’ha vissuta, uomini e donne che ancora oggi possono raccontare ciò che hanno visto con gli occhi e ciò che hanno provato sulla pelle.
Marisa Cinciari Rodano, 101 anni, fu partigiana a Roma. Venne arrestata nel maggio del 1943, tradita da un tipografo che rivelò la sua attività contro il regime nelle scuole. Tornata libera, dopo l’8 settembre si impegnò nella lotta clandestina come staffetta.
“Non ho mai preso un’arma in mano se non per trasportarla, ho fatto soltanto quello che centinaia di donne hanno fatto in quei mesi”. È ciò che spiega la Rodano, ricordando il ruolo, spesso sottovalutato, che le donne partigiane hanno avuto nella lotta al nazifascismo. Le donne,infatti, diedero un contributo fondamentale: servirono da tramite fra le varie brigate e passando inosservate permettevano il passaggio veloce di armi, informazioni e cibo. Inoltre, potevano avvisare i patrioti dell’arrivo imminente dei soldati nazifascisti.
Quando le viene chiesto il motivo che la spinse alla lotta partigiana e quanto è importante oggi ricordare la Resistenza, la Rodano risponde che bisognava combattere il nazifascismo e porre fine alla guerra, e sottolineando l’importanza della lotta disse:
“Purtroppo ci sono delle forze, anche se minoritarie, che tendono a rivalutare il fascismo, a negare i valori della Resistenza, non solo in Italia ma anche nei Pesi europei, a cancellare una memoria che invece sarebbe molto importante che i giovani conoscessero”.
Carlo Smuraglia, invece, 98 anni, visse l’8 settembre 1943 da studente di legge alla Normale di Pisa, dove affinò la sua sensibilità antifascista. Dopo l’armistizio Smuraglia lasciò gli studi per darsi alla macchia.
“Fu una scelta di vita dolorosa, ma che ritenni inevitabile. La libertà in quel momento era più importante della carriera.”
Queste le parole di Smuraglia che, tornato nelle Marche, trovò rifugio insieme ai suoi amici da una famiglia di contadini.
In campagna si collega ai Gruppi di azione patriottica legati al Partito Comunista e si impegna nella lotta all’invasore nazifascista. Dopo la liberazione di Cremona nel luglio del 1944, Smuraglia decise di entrare nell’esercito, nella Divisione Cremona, il cosiddetto CIL (corpo italiano di liberazione).
Smuraglia aggiunge: “La Resistenza non la fece soltanto chi imbracciò le armi, ma chi offrì sostegno concreto, in tanti portarono un mattone, spesso decisivo”. Con le sue parole ci comunica che senza il favore popolare la Resistenza non ci sarebbe stata, lo dimostra l’aiuto dei contadini, ma anche quello di tante altre famiglie che lo aiutarono a “scomparire”.
Marisa e Carlo rappresentano simbolicamente centinaia di italiani che scelsero di combattere la Resistenza, di sostenerla psicologicamente e materialmente anche a rischio della vita, trovando un unico e comune obiettivo da conservare nel tempo per portare avanti la lotta: la conquista della libertà.
Inoltre, i valori che sono alla base dell’antifascismo e dell’impegno a combattere per la libertà della propria patria, permisero al movimento resistenziale non solo di svolgere una funzione difensiva e di supporto all’azione militare degli Alleati, ma anche di costruire uno Stato nuovo e con rinnovate istituzioni democratiche, forgiando una nuova classe dirigente.
La nostra libertà è il frutto di tutto questo, troppo spesso ci sembra scontata, ma in realtà è la conquista di chi ha combattuto fino alla morte. Questo è ciò che dobbiamo ricordare e celebrare, simbolicamente il 25 aprile, ma ogni giorno.
La nostra storia, ciò che abbiamo e ciò che siamo oggi: è questo il fiore del partigiano, morto per la libertà.
Maddalena D’Angelo