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La Montagna spaccata: una fusione tra storia e leggende

La città di Gaeta dispone di un luogo incantevole in cui perdersi tra acque cristalline, immense pareti rocciose e storia.

È la Montagna spaccata di Gaeta ad invitare ogni anno sempre più persone alla scoperta delle tre fenditure che si trovano sul promontorio del monte Orlando.

Questo percorso prevede la visita anche ad altre attrazioni, altrettanto suggestive, situate nella stessa riserva naturale. A rendere ancor più malioso l’itinerario è l’incontro di leggende e storia, che travolge ed appassiona i turisti.

Sullo stesso promontorio, infatti, sorge il Santuario della S.S. Trinità, fondato intorno il 930 dai padri Benedettini, che lo officiarono per circa dieci secoli fino al 1788. Successivamente, subentrarono i frati Francescani Alcantarini che, con l’aiuto di Ferdinando II diedero un notevole sviluppo e decoro a tutto il santuario perché quest’ultimo visse precedentemente un periodo di abbandono.

Spostandosi verso la sua sinistra, invece, è possibile imboccare la discesa alla fenditura della Grotta del Turco che è raggiungibile attraverso una scalinata di circa 300 scalini, di cui soltanto 60 sono percorribili.

Questo, non esclude ai visitatori di godersi i giochi di luce generati dal sole che risaltano le acque turchesi del mare.

La sua denominazione è risalente ai tempi del Ducato di Gaeta, quando le navi dei Saraceni vi trovavano rifugio.

Al lato destro del santuario, si può percorrere il Corridoio della Via Crucis, le cui stazioni furono erette dai padri Alcantarini nel 1849. Le pareti del corridoio presentano le maioliche dei quadri, attribuiti a Raimondo Bruno, e i versi interpretativi di Metastasio.

La funzione religiosa della Via Crucis viene percorsa dai pellegrini nei venerdì di Quaresima, prima di accedere alla Cappella del Crocifisso che fu edificata per custodire un pregiato crocifisso in legno tanto venerato dai fedeli. La sua costruzione avvenne su un grosso macigno che si pensa si fosse incastrato nella spaccatura, rimanendo sospeso a circa 30-40 metri sul mare una volta caduto dal vertice della montagna.

Per scendere fino alla Cappella del crocifisso, si attraversa la principale spaccatura della montagna costituita da 35 gradini. Inizialmente, la scalinata era poggiata su spranghe di ferro che offriva la possibilità a chi vi scendeva di ammirare il mare sottostante. Di questa fenditura sono notevoli le due pareti che nelle loro protrusioni e rientranze sembrano combaciare perfettamente. Stando ad una visione religiosa, si ricordano le parole del Vangelo che attribuirono tale spaccatura ad una conseguenza della morte di Gesù: “Alla morte di Gesù la terra tremò e le rocce si spaccarono” (Mt.27,51).

Come scritto in precedenza, i visitatori si rapporteranno ad un interessante incontro di storia e leggende. Per l’appunto, si può osservare ad una certa altezza della parete di questa principale fenditura, un solco al suo interno che sembra avere le vere e proprie sembianze di una mano. Si parla della cosiddetta mano del turco.

Quest’appellativo nasce dalla credenza secondo cui un visitatore miscredente – forse un marinaio turco – non volle credere che la spaccatura della montagna fosse dipesa dalla morte di Gesù Cristo in croce e, con alterigia, appoggiò la sua mano alla roccia. Quest’ultima si indebolì a tal punto da rimanervi l’impronta della sua mano, come per miracolo.

D’altronde, anche il distico latino cita il fatto: “Un incredulo si rifiutò di credere ciò che la tradizione riferisce, lo prova questa roccia rammollitasi al tocco delle sue dita”.

È possibile leggero volgendo lo sguardo verso il basso dell’impronta.

Le leggende non finiscono qui, in quanto si racconta che San Filippo Neri avesse vissuto all’interno della Montagna Spaccata dove è presente un giaciglio in pietra che si ricorda come il suo letto.

Un’altra suggestiva leggenda è quella amorosa della storia fra Etele e Giordano.

Si narra che molti anni fa, dove oggi c’è la Montagna spaccata, risiedessero delle Anguane, cioè delle donne affascinanti che si udivano cantare e danzare di notte con la luna piena. Queste creature fatate facevano del loro fascino un modo per asservire gli uomini.

Girovagava nei boschi un giovane montanaro di nome Giordano che si innamorò perdutamente di Etele tanto da volerla prendere in sposa. I saggi montanari del bosco cercavano a tutti i costi di distogliere Giordano dall’intenzione di sposarla, essendo a conoscenza del destino a cui sarebbe stata sottoposta Etele nel momento in cui sua madre, maga del bosco, fosse morta: la fanciulla sarebbe svanita.

La stessa maga del bosco cercò di convincere Giordano a lasciar stare quest’idea perché era consapevole dell’infelicità che sarebbe scaturita dall’unione di quest’amore. Non ci fu modo per fargli cambiare idea, così il montanaro sposò Etele facendo dimora in una casa costruita con tronchi di abete.

Purtroppo, in una triste alba d’estate la Maga morì ed Etele, poiché dormiva abbracciata al suo Giordano, lo baciò e cercò di togliersi senza svegliarlo, cosa che non avvenne a causa dei suoi capelli lunghi che si mossero.

La fanciulla fuggì per andare incontro al suo triste destino e, inseguita dallo sposo, si trovò ai piedi di un’altissima rupe che le bloccava il passo. Si rivelò l’incantesimo quando un boato ruppe la rupe e questa si spaccò, così Etele scomparve verso il cielo.

Giordano provò ad oltrepassare la fenditura ma venne respinto verso la valle da una torrenziale cascata che glielo impedì, fermandolo.

Alessandra Lima

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La Redazione

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