Enrico Caruso: gli amori del re Sole della lirica italiana
“La vita mi procura molte sofferenze. Quelli che non hanno mai provato niente, non possono cantare”.
A casa di mia nonna ci si sveglia con l’odore del caffè e con la voce di Enrico Caruso in lontananza; è la colonna sonora della sua vita: per ogni ricordo, bello o brutto che sia, ci sono le sue note.
Ancora oggi di tanto in tanto prende il suo grammofono e mette su qualche suo disco e per il quartiere si “spande” la melodia del maestro partenopeo di Bel Canto.
Enrico Caruso nacque in Via Santi Giovanni e Paolo n°7 nel quartiere popolare detto “San Giovanniello” a Napoli, da Marcellino Caruso e Anna Baldini, due cristi emigrati pochi anni prima da Piedimonte Matese (Ce) in cerca di lavoro nella capitale del buon vecchio regno delle due Sicilie.
La famiglia viveva in condizioni economiche non proprio ottimali: il giovane Enrico ancora studente delle scuole elementari, cominciò a lavorare in una fonderia; dopo la conclusione del suo 1° ciclo di studi, si iscrisse ad una scuola serale ed è proprio durante tali anni che si palesò agli occhi di tutti il suo amore viscerale per l’arte, soprattutto per la musica e per il disegno (famose sono le caricature di sé stesso, di Toscanini e di Marconi).
Fu la madre a spronarlo a non abbandonare mai la passione per la musica e fu lei a spingerlo a studiare canto.
Cominciò ben presto a cantare nelle chiese e durante feste patronali, serenate per innamorati, feste di paese.
Nel 1985 cominciò la sua vera carriera di cantante lirico, come allievo del maestro Vincenzo Lombardi.
A Napoli fu protagonista di molte opere: il “Faust”, la “Cavalleria rusticana”, la “Gioconda”, la “Traviata”; ma è nel 1898 che ebbe il suo vero 1° successo: al Teatro Lirico di Milano si esibì nella prima di “Fedora”.
Il 1° tenore italiano a divenire una star internazionale (ha anche una stella lungo la Hollywood Walk of Fame): ammirato da tutti ed amato, soprattutto dalle donne. E furono proprio le donne a condizionare in maniera, talvolta indelebile, la vita del giovane Caruso.
Nel 1897, durante “La Bohème” a Livorno, conobbe il soprano Ada Giachetti Botti, già sposata e madre di un bambino. Ada, per Enrico, lasciò il marito e i due ebbero altri 2 figli, Rodolfo (così chiamato per il ruolo che il padre interpretò ne “La Bohème”) ed Enrico Jr., per tutti Mimmi.
11 anni dopo Ada dopo continui tradimenti, lasciò il marito per l’autista Cesare Romati. Caruso cominciò così a frequentare la sorella di Anna, Rina, e ben presto quest’ultima andò a ricoprire il ruolo di madre per i due piccoli Caruso.
Nonostante l’amore assoluto di Rina, il cantante cercò continuamente distrazioni e le sue fughe divennero famose in tutta Europa e non solo: era noto ai più l’appellativo dato a Laurence Guental, sua amante, di “Mia cara pecorella”; Hannah K. Graham, una donna incontrata a Central Park davanti alla gabbia delle scimmie lo denunciò per molestia sessuale (a Lina Cavalieri, soprano che cantò con Caruso durante “La Bohème” disse: “Ti giuro, Lina, che io sono vittima di una pazza o di una ricattatrice. È assolutamente falsa l’accusa che mi colpisce”.); a Salerno quasi convogliò a nozze con Giuseppina Grossi, studentessa di canto che a seguito della scoperta di un flirt che Caruso avventurò con una ballerina, lo lasciò.
Nel frattempo scoppiò la guerra e a seguito dell’affondo del Titanic che tenne il tenore fermo “oltre oceano” per alcuni mesi, mentre Rina era in Italia ad aspettarlo, lui sposò l’americana Dorothy Benjamin, dalla quale nel 1919 ebbe una figlia, Gloria.
Ed è in sua compagnia che esalò l’ultimo respiro: il 2 agosto 1921 era nella “sua” camera all’albergo Vesuvio (oggi Grand Hotel Vesuvio), a Napoli.
Quelli precedenti alla sua morte furono mesi di agonia, documentati da un’epistola che Caruso stesso scrisse alla sua insegnante d’infanzia Emilia Niola:
“Mia cara donna Emilia, da otto giorni a questa parte non si è vissuto che di ansie e di dolori. Sissignore, quando voi leggerete questa lettera già siete a conoscenza, per mezzo della stampa che velocemente porta notizie anche a chi non le vuole sapere, di tutte le mie, chiamiamole così, disgrazie che mi sono capitate in questi otto giorni (…) Quest’estate non mancherò di essere a Napoli e sicuro vi ritroverò all’età di 14 anni e, come allora, andrò a trovare le persone affidabili e affettuose. Mmò è tiemp’e stutà o lucigno pecchè me pare che comuncia a puzzà a luongo. Così vi mando i miei cari e affettuosi saluti ai quali si unisce mia moglie per voi e famiglia tutta e godo nel pensare che quando sarò tra voi ho paura che non vi lascerò più. Vi bacio le mani, vostro affezionatissimo.
Enrico Caruso”.
Aveva 48 anni.
Antonietta Della Femina
Foto di copertina di Sara Ciliberti, ciliy_ph
Foto interna di Antonietta Della Femina
Leggi anche: Tammurriata nera: racconto in musica del dopoguerra