L’Ungheria e l’aborto: una relazione difficile che continua ad (in)volversi
La donna e la sua relazione con la maternità continua ad essere uno dei temi più scottanti degli ultimi mesi.
In nessun luogo del mondo sembra potersi stabilire una regola che definisca in modo chiaro dove finisce il diritto e dove inizia il dovere di essere madre.
L’Ungheria è uno dei paesi dell’UE: un dato di fatto indiscutibile sul quale bisogna porre l’attenzione pubblica alla luce delle nuove regole legate all’interruzione di gravidanza. Dopo le polemiche scatenate dallo stesso argomento in America, risulta ancora più difficile ascoltare e star zitti sugli aspetti più inquietanti di una faccenda che non ha nulla di accettabile o risolto.
Entrare a far parte dell’UE prevede il rispetto di una serie di parametri che definiscono e regolamentano la filosofia portante di una civiltà che si definisce tale: il rispetto, la tolleranza, la parità di genere, il rispetto della donna e dei suoi diritti. Ma tutto questo ben dire e ben propogandare sembra sperdersi nel momento in cui ci si addentra nell’argomento delicato della maternità.
Il quesito millenario che ogni donna si pone, probabilmente dalla sua apparizione sul pianeta Terra è stato: “il mio compito è quello di procreare essendo così predisposta biologicamente ?”.
La risposta della società contemponarea sembra aver trovato una risposta a questo quesito ancestrale, stabilendo il diritto all’autodeterminazione femminile. “My body, my choice” è diventato un baluardo, quasi un monito.
Eppure, in una società profondamente ancorata alla supermazia maschile come quella europea – che del femminismo sente solo la ridigità e la violenza e non la potenzialità – l’accesso alla maternità è ancora regolato da ammonizioni, avvertimenti, obblighi.
Le donne, qualsiasi sia la loro età, vengono trattate dalla società come bambine senza coscienza, alle quali va insegnato a cosa rinunciano gettando all’aria il dono fatto loro da Madre Natura.
In sostanza, “mio il corpo, mia la scelta” è veicolato da pregiudizi, etiche discutibili e un profondo senso di impotenza dovuto alla profonda sottovalutazione dell’intelletto femminile. In Ungheria, grazie ad una nuova legge che entrerà in vigore a partire dal 15 settembre 2022, ogni donna che desideri interrompere una gravidanza dovrà ascoltare il battito del cuore del suo feto.
Amnesty International ha definito la nuova legge “un preoccupante passo indietro”. L’aborto, infatti, è legale nel paese dal 1953 con regole fisse fino al nuovo intervento parlamentare, che ha decretato un obbligo tanto discutibile quanto retrogrado.
Il personale medico che si occuperà dell’interruzione, inoltre, dovrà accertarsi che la donna abbia firmato un attestato che confermi l’accaduto prima di procedere con l’aborto. Il Governo di destra di Viktor Orban , con la recente preoccupazione dovuta al calo delle nascite in Ungheria, cerca di affermare i valori della famiglia tradizionale attraverso interventi di restrizione della libertà personale, a scapito della salute mentale delle donne ungheresi.
Il mondo occidentale si trova ad affrontare uno dei periodi più difficili della sua democrazia diffusa: cambiare provando strade nuove o tornare indietro, affondando le mani in un passato privo di uguaglianza, scelta o possibilità.
All’alba delle elezioni parlamentari in Italia, che avverranno il 25 settembre 2022, i cittadini votanti (e non) di tutto il paese staranno a guardare quale rotta l’umanità si prepara a seguire. Ricordando, sempre, che l’opposizione ed il pensiero critico sono le armi più affilate da utilizzare in una guerra contro un nemico apparentemente ineffabile ed intangibile. Opporsi, liberarsi, è un dritto individuale, inalineabile, personalissimo.
Sveva Di Palma
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