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Il Parkinson, quando a riconoscerlo è l’olfatto super sensibile di una donna

Sopraggiunge dalla Gran Bretagna una novità sul piano scientifico, si tratta della realizzazione di un test diagnostico per il Parkinson dall’odore della pelle.

A contribuire all’avanzamento di questa scoperta sono i ricercatori dell’Università di Manchester, anche se il campanello d’allarme è stato lanciato da un’ex infermiera di nome Joy Milne provvista di un olfatto ipersensibile che le concesse di comunicare ai medici di aver percepito un cambiamento nell’odore di suo marito Les già 12 anni prima che gli venisse diagnosticato il morbo di Parkinson. 

Gli scienziati britannici hanno assoldato la donna per il loro progetto che si chiama NoseToDiagnose, concentrato sul progresso del test per il riconoscimento in uno stadio precoce della malattia. Questo progetto è coordinato dalla chimica e professoressa dell’Università di Manchester Perdita Barran.

Milne, è stata soprannominata “la donna che annusa il Parkinson”, ed ha catturato l’attenzione non solo di Barran ma anche del dottor Tilo Kunath dell’Università di Edinburgo. Entrambi, nel 2012 hanno analizzato la questione scoprendo infine che i pazienti con Parkinson anche in una fase precoce presentano un’alterazione del sebo generando un odore che si sarebbe protratto fino allo stadio più avanzato della malattia diventando man mano più intenso. Quest’odore, avvertito soltanto dalla signora Joy, dotata di un olfatto sensibile due volte più del normale, è definito come “muschioso”.

Cerchiamo di capire la causa per cui è stato identificato in questo modo: in questi soggetti è possibile notare la comparsa di una pelle più grassa specialmente in viso e a livello del cuoio capelluto. In seguito ad uno studio, i ricercatori hanno verificato nel sebo dei pazienti la presenza di acido ippurico ed altri elementi chimici, come l’Eicosano, che sono indicatori di livelli alterati nei neurotrasmettitori presenti di solito nei malati affetti da Morbo di Parkinson.

Intanto, si afferma per Joy Milne la capacità di poter individuare i pazienti o, addirittura, prevedere chi avrebbe sviluppato i sintomi da lì a qualche tempo. Tutto questo perché la donna è stata sottoposta ad una serie di esperimenti che consistevano di farle annusare t-shirt indossate dai pazienti al fine di capire se lei fosse stata realmente in grado – grazie alla sola percezione olfattiva elevatamente sviluppata – di riconoscere la presenza della malattia. È stato proprio così, superando di gran lunga le aspettative dato che è riuscita ad individuare come “T-shirt Parkinson” anche quella di una persona che ai tempi non presentava alcun sintomo della malattia, ma che li avrebbe sviluppati dopo otto mesi dall’esperimento. 

Il lavoro condotto dai ricercatori è proseguito fin quando la professoressa Barran, nel 2019, ha comunicato che il sebo dei pazienti con malattia di Parkinson mostra una firma molecolare unica che gli attribuisce quell’odore riconoscibile dalla donna. 

Gli scienziati hanno rivelato come il sebo possa essere analizzato mediante la spettrometria di massa per indicare la malattia. Questo processo permette di riconoscere le molecole presenti nella persona affetta dalla malattia. 

Lo studio condotto sempre nel 2019 dall’equipe di ricercatori guidati dalla Barran, ha confrontato l’analisi del sebo di un totale di 150 persone, tra cui 79 malati di Parkinson e un gruppo di controllo di 71 persone, ottenendo risultati promettenti. Questi ultimi sono stati pubblicati su Journal of American Chemical Society dal gruppo della Barren.

Per riconoscere questa molecola, è stato sviluppato un test, chiamato il test del cotton fioc attraverso cui il sebo viene prelevato passando un cotton fioc sul collo del paziente.

Al momento, la diagnosi del Morbo di Parkinson si basa esclusivamente sui sintomi manifestati del paziente e sulla sua storia clinica. Non esistono test per la diagnosi precoce della malattia. Quindi, se l’efficacia del nuovo test (di cui lo studio è ancora agli inizi) venisse accertata, sarebbe rivoluzionario utilizzarlo per la diagnosi della malattia in stadio precoce e quindi realizzare un vero e proprio screening di massa. 

Alessandra Lima

La Redazione

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