Prima dei tarocchi… divinare era un gioco
Chi sente nominare i tarocchi pensa subito alla divinazione e all’occulto.
E se vi dicessi che questi affascinanti mazzi di carte non sono affatto nati con lo scopo di predire il futuro?
Ad oggi, non si hanno prove inconfutabili sulle origini dei tarocchi, esistono diverse teorie, alcune più probabili di altre, ma nulla di definitivo. L’unica certezza è che si hanno testimonianze scritte su un uso divinatorio delle carte solo intorno al XVIII secolo, ben dopo il secolo della caccia alle streghe, se vogliamo. Curioso, non è vero?
Le streghe, vere o fasulle che fossero, non usavano le carte per predire il futuro né venivano ingiustamente accusate di farlo. È logico supporre, allora, che prima del Settecento i tarocchi avessero uno scopo puramente ludico. Ma come sono arrivati ad assumere la forma e il ruolo che hanno oggi?
La stessa etimologia della parola “tarocco” è incerta. Alcuni studiosi hanno suggerito una discendenza egiziana combinando le parole tar e ros, ovvero “strada del re”, altri una affinità con il termine indù taru e l’ungherese tarok, entrambi significanti “mazzo di carte”, e con la tara tibetana, la saggezza.
Tra le ipotesi più recenti c’è quella di Gustav Meyrink, che nel suo romanzo Il Golem, scritto nel 1915, collegò il termine tarocco all’ebraico tora, la legge, e all’antico egiziano tarut, “l’interrogata”.
In effetti, in tutte le culture appena citate figurano alcune opere iconografiche che potrebbero in qualche modo ricollegarsi ai tarocchi: in Egitto, per esempio, si è perso nel tempo il prezioso “Libro di Thoth”, dio lunare, che migliaia di anni fa avrebbe lasciato agli uomini un manuale di istruzioni per trasformarsi in divinità. I geroglifici e i messaggi del libro sarebbero stati “salvati” dai sacerdoti egizi e portati in Europa sotto forma di carte.
Similmente in Indocina gli insegnamenti della Trimurti indiana (Brahma, Vishnu e Shiva) erano raccontati e illustrati nei Purana, raccolte di storie antichissime costituite da diciotto scritti vedici. Agli Arabi viene invece collegata l’origine degli Arcani minori, dato che il più antico sistema di carte da gioco, il Mulûk wa-Nuwwâb, attualmente conservato al Museo di Topkapi, a Istanbul, presenta gli stessi quattro semi che fanno parte dei nostri tarocchi – e di conseguenza, delle nostre carte da gioco italiane – bastoni, coppe, denari e spade.
Comunque sia, l’ipotesi più probabile sembra ricondurre alla Cina della dinastia Tang e ai giochi con le banconote, su cui erano impresse le effigi degli Imperatori e i simboli legati all’I Ching. Nel VII secolo d.C. infatti i cinesi presero a utilizzare i soldi come carte da gioco, e l’abitudine sarebbe poi passata nei secoli successivi alle vicine India e Persia, per poi giungere in Spagna e in Italia nel Trecento grazie ai contatti con gli Arabi.
Ma come si è passati dal gioco all’uso divinatorio? Questo neanche si sa con certezza. Sembrerebbe quasi che a un certo punto le persone abbiano iniziato ad assegnare significati alle carte per divertimento. Così dal nulla, il massone francese Antoine Court de Gebelin pubblicò nel 1781 un’analisi particolareggiata su come leggere i tarocchi, ricollegandoli ai segreti esoterici dei sacerdoti egizi. E circa un secolo dopo cominciarono a essere prodotti, in Francia, i tarocchi di Marsiglia, basati sulle analisi di de Gebelin e, visivamente, sulle carte da gioco appartenute alla famiglia italiana Visconti-Sforza.
Per un altro secolo circa i tarocchi marsigliesi sono stati il sistema più diffuso per la divinazione, fino alla creazione, a opera dell’occultista britannico Arthur Waite e dell’artista Pamela Colman Smith, di un nuovo mazzo, il Raider-Waite, pubblicato nel 1909 e divenuto, al pari del marsigliese, tra i sistemi di tarocchi più usato. Nel mazzo Raider-Waite i simboli riprendono il più antico mazzo di tarocchi completo, il Sola Busca, realizzato per il duca di Milano nel XV secolo, oggi conservato alla Pinacoteca della città.
Claudia Moschetti
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