“The Bear”, una serie da assaporare venti minuti alla volta
Creata da Christopher Storer, gli otto episodi sono disponibili in Italia dal 5 ottobre sulla piattaforma Disney +. L’apprezzamento di pubblico e critica negli Stati Uniti ha già portato all’annuncio di una seconda stagione.
Condisci di traumi una storia, aggiungici un pizzico di panico qua e là e avrai un picco di nevrosi che gli spettatori non vedranno l’ora di divorare: sono questi gli ingredienti (apparentemente) principali di The Bear, serie ambientata in una cucina di Chicago sull’orlo del fallimento.
Protagonista della storia è Carmen (“Carmy”), interpretato da Jeremy White, attore dal talento indiscusso e noto ai più come il Lip Gallagher della serie Shameless. Dopo aver lavorato come importante chef stellato a New York, Carmy si ritrova a possedere il ristorante di famiglia, un diner squallido di Chicago lasciatogli dal fratello Michael, morto suicida. Nel vano tentativo di comprendere quel gesto recuperando frammenti del passato, tra sensi di colpa e insonnia il ragazzo tenta di rimettere in sesto la cucina che deve far fronte a enormi debiti.
Tra i vari “chef” spiccano Richie, vecchio amico di famiglia (tanto da essere chiamato “cugino”) che si oppone ai cambiamenti che Carmy vuole apportare dopo la morte del fratello, e Sydney Adamu, vittima dello spietato mondo dell’alta cucina e ammiratrice del talento del nuovo proprietario. Insieme a loro, tutti i componenti della nouvelle cuisine di Carmen dovranno fare i conti con la violenza del quartiere, la precarietà economico-affettiva onnipresente, situazioni familiari drammatiche ed il dolore ancora vivo per la morte di Mickey.
Ogni episodio ci svela particolari in più sui personaggi, dandoci gli strumenti per non impazzire tra il caos di pentole, fornelli accesi e “vaffanculo” che affollano la cucina. La tensione emotiva dei protagonisti si traduce in immagini, grazie al movimento frenetico dei coltelli che affettano cibo, le corse tra gli scaffali, le sequenze rapsodiche e le urla che dettano compiti senza sosta.
Un ambiente asfissiante, che è anche specchio del reale mondo dell’alta cucina, cui Carmy tenta di sfuggire dopo aver subito violenze psicologiche continue sul posto di lavoro. I suoi sogni bruscamente interrotti e i salti dalla realtà all’immaginazione in frequenti allucinazioni rappresentano il burnout di cui è vittima. Ed è forse questa la performance che ha colpito una larga fetta di pubblico, tanto da far passare in secondo piano quel dramma familiare che sembrava essere al centro della storia.
Tutti (chi più, chi meno) hanno lavorato almeno una volta in condizioni stressanti, con capi sadici, orari folli, stipendi umilianti e una sensazione di malessere continua. L’autenticità di quei sintomi (la nausea, l’insonnia, gli attacchi di panico) non ci fanno solo empatizzare col protagonista, ma ci portano a riflettere su quanto sia crudele che questa disumanizzazione sia diventata, ormai, la normalità.
Il consiglio, dunque, è quello di assaporare ogni minuto di questi otto episodi, più brevi delle serie canoniche cui siamo abituati, ma funzionale a conferire dinamicità al racconto. Con un cast eccellente, una colonna sonora ben studiata (con brani dei Radiohead, Pearl Jam, Sufjan Stevens e altri) e storie in cui chiunque può riconoscersi, il sapore di autenticità e verità di questo piatto lo rende il pezzo forte del menu di serie televisive del 2022.
Elena Di Girolamo
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