Meretrices o artiste del mimo? Spesso era lo stesso
Il progredire del teatro latino consente di non assistere più alla sola rappresentazione di princìpi morali volti a rafforzare il senso civico della comunità: a differenza dell’antecedente greco, il pubblico è entusiasmato da corse di carri, combattimenti dei leoni, naumachie, spettacoli di gladiatori e di danza.
Dalle testimonianze dello storico Livio è documentata la presenza di celebrazioni solenni per placare l’ira divina e debellare una fortissima pestilenza attraverso i ludi scaenici.
Nel corso di questi spettacoli era evidente l’influsso di una mediazione etrusca: furono chiamati i ludiones, artisti e danzatori provenienti dall’Etruria, in grado di adeguare le proprie movenze al ritmo del flauto.
La licenziosità delle esibizioni e le austere leggi relative ai costumi romani, purtroppo, limitarono questo genere di divertimento popolare.
Con l’espansione dei confini dell’Impero, il tessuto sociale cambia e i gusti divengono sempre più eterogenei, per cui la preferenza del pubblico si orienta verso gli spettacoli appassionanti dei mimi. Questi ultimi consistevano in grottesche rappresentazioni della vita quotidiana accompagnate da musica, il cui fuoco d’ interesse era il ruolo attivo delle donne, alle quali era consentito calcare il palcoscenico mimico con danze e gesti facciali.
L’introduzione delle artiste del mimo corrisponde ad una novità introdotta dai Ludi florales, i giochi per celebrare la dea Flora, che prevedevano un abbigliamento con colori sgargianti e trascendendo nella nudatio mimarum.
La stigmatizzazione subita dalle attrici del mimo da parte dei difensori del mos maiorum fu tanto violenta da considerarle alla stregua di meretrici, così denominate per il loro duplice ruolo di attrici-cortigiane.
Molte schiave, acquistate in paesi stranieri, venivano iniziate alle arti della danza e del canto per rivestire il ruolo di intrattenitrici e proprio su queste ultime gravava il giudizio di donne dal carattere immorale e dissoluto.
Queste donne erano considerate infames e ciò comportava la perdita dei diritti di cittadino, addirittura Cicerone tramanda la notizia di uno stupro di gruppo subìto da una di queste attrici come un avvenimento normale.
Tra le più famose donne di spettacolo, soubrette dell’antica Roma del I secolo a.C., si conosce il nome della mima Volumnia Citeride.
La ballerina, liberata dal cavaliere Publio Volumnio Eutrapelo della gens Volumnia, fu introdotta nell’ambiente dei banchetti romani in qualità di intrattenitrice e adottò lo pseudonimo di Citeride, derivante dal nome di Citera, l’isola di Venere.
Durante le feste venne a contatto con i ricchi esponenti della politica, ai quali concedeva, oltre la nudatio mimarum, delle vere e proprie prestazioni intime.
Volumnia intrattenne numerose relazioni amorose con personaggi politici, tra questi spicca il triumviro Marco Antonio, del quale divenne mima uxor, cioè una sorta di “moglie di riserva” che lo accompagnava durante le uscite e spesso era trasportata su una lettiga.
Successivamente si avvicinò al poeta Cornelio Gallo che le dedicò i quattro libri delle elegie Amores, attribuendole il nome di Licoride.
Giudicata bella ed infedele, lasciò anche Cornelio Gallo per seguire oltre le Alpi un altro uomo, di cui non si conosce specificamente l’identità.
La linea di divisione fra il mondo dello spettacolo e la prostituzione era senz’altro molto vaga e non solo nel giudizio delle persone comuni.
L’immagine stereotipata della donna attiva nel teatro e costretta a trattare con molti uomini, quasi contro la propria volontà, si è tramandata nell’immaginario collettivo fino a tempi recentissimi ed solo a partire dal subentrare della Commedia dell’Arte che si inizia a scardinare il muro del pregiudizio.
Salvo qualche isolato caso di emancipazione femminile e di professionalizzazione dei ruoli, il peso di un giudizio tanto asfissiante ha lasciato la sua cicatrice.
Alessandra De Paola
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