Altalene del cuore in abissi mentali
di Rebecca Grosso
Mi manchi
non puoi sapere quanto
sarà che non esisti
e allora io ti invento
ti immagino e ti canto
e così
mi pare che ci sei
e se non posso amare così tanto
e farmi amare
a cosa servirei.
(Non smetto di aspettarti di Fabio Concato)
Un battito negli abissi è il primo romanzo di Antonella Tafanelli, edito nel novembre 2016 da La strada per Babilonia. Rientrando a pieno titolo nella collana di Narrativa Contemporanea, l’esordio letterario dell’emergente scrittrice si configura come un romanzo rosa, che di questo colore possiede tutte le gradazioni concepibili.
Dal tenue e luminescente perlato allo scarlatto più vivido e intenso, l’autrice scava nel profondo della femminilità disegnandone tutti i suoi caratteristici contrasti, colorando con la sua penna i chiaroscuri dell’esser donna.
E di una potenza femminile irrefrenabile e dirompente è la protagonista di questa storia, Margherita. Sin dai primi anni della sua vita, si è distinta dalle coetanee per la sua avidità di solitudine e meditazione. A questa bambina cresciuta troppo in fretta, o piccola donna partorita già grande, non è mai dispiaciuta l’idea di considerarsi un po’ folle: passava gran parte delle sue giornate a conversare con un amico immaginario che crescendo finirà per mescolarsi con la sua essenza, come se non fosse più possibile una distinzione tra “Margherita” e il suo alter ego.
Maturerà la piena consapevolezza del suo carattere deciso e sfacciato quando, a ventidue anni, contro il volere della famiglia, si getterà tra le braccia di un amore malsano, un uomo più grande di lei, con un figlio di tre anni e un matrimonio fallito alle spalle.
“Mai contro cuore”, eppure quell’incontro segnerà l’inizio di un declino da cui sarà difficile risalire. Le mura di quel nido d’amore dove si era rifugiata si trasformarono, infatti, ben presto nelle pareti di una prigione da cui sembrava impossibile evadere.
Quando la brutalità della violenza psicologica supera il dolore causato da quella fisica, non bastano più i mesi di terapia psicanalitica, l’affetto dei familiari e il conforto degli amici; Margherita aveva bisogno di rinascere.
A due anni dal divorzio, di quella donna fragile e impotente erano rimasti tenebrosi ricordi e fantasmi che tornavano a farle compagnia a ogni sguardo malizioso che si sentiva gravare addosso.
La Margherita quasi quarantenne, donna ormai formata, emancipata e indipendente, fu però scossa da quello che per lei rappresentò una vera e propria rivoluzione: l’aver incrociato lo sguardo cupo e misterioso di Marco, con il suo fare da predatore, quasi felino.
Nonostante quell’elettricità tra i due, tangibile nell’aria, a Margherita, l’idea di essere dominata, faceva mancare l’aria. Permetterà mai a un altro uomo di varcare la soglia della fortezza che si è costruita addosso, sulle orme dei vecchi lividi?
“Non riesci a capire se sei ancora in piedi o sei svenuta inerme, e prima che tu possa comprenderlo, sono così bravi da cercare di convincerti che tutto questo è disperazione di un uomo innamorato di te. Ti sollevi e non vi è parte del tuo corpo che non gridi al dolore, ti appoggi al muro del tuo amore e barcolli sperando inutilmente che non accadrà più. Loro lo chiamano amore e per un po’ lo credi anche tu, fino a quando ogni volta fa sempre più male.”
La narrazione si adagia sulle note di Non smetto di aspettarti di Fabio Concato, la canzone preferita di Margherita, la dichiarazione d’amore più bella che avrebbe voluto ricevere, non da qualcuno, ma da se stessa. Quel suo carattere così irruento preso a pugni, a calci e a schiaffi dalle bugie e dai tradimenti di quell’individuo che stenta ormai a riconoscere come l’uomo da lei tanto amato, quella personalità tanto decisa che riuscirà a riacquisire solo costruendo un muro di cinta attorno al suo cuore.
Il suo annullarsi totalmente per l’amore tossico al quale aveva deciso di consacrare la sua vita non le permetterà facilmente di ritrovare un briciolo di autostima e la fiducia, oltre che nelle sue potenzialità, nella buona fede del genere maschile. Il solo pensiero di sentire sulla sua pelle il tocco di un’altra persona le genera ansie e attacchi di panico, giustificati da un passato sepolto, ma mai dimenticato, di rabbia e profondo dolore.
Ma Margherita è meravigliosa nel suo processo di rinascita e sprigiona un’energia femminile così luminosa da accecare e ammaliare chiunque riesca a coglierla. Non si arrende, ed è disposta ad andare contro le sue stesse convinzioni pur di soddisfare la sua insaziabile ricerca di serenità.
È dedicato alla defunta madre dell’autrice, che decide di omaggiare con le tenere parole de La madre di Victor Hugo, questo libro che dell’universo femminile è legittima rappresentazione. Antonella Tafanelli, più che di una penna, si è munita di pennello e acquerelli per dipingere, colorando di tutte le sue sfumature la figura di una donna che non riesce ad arrendersi al suo passato di sottomissione, una forza della natura inarrestabile.
Inarrestabile è anche lo stile con cui racconta la sua storia, crudo e diretto, senza mezzi termini, ricco di quella capacità evocativa che ci fa immergere in una personalità così forte con una facilità quasi spiazzante, rendendoci difficile dirle addio a libro finito.
Un battito negli abissi è un’enciclopedia della rinascita, ci insegna a rialzarci qualunque sia il nostro dramma: la perdita di una persona cara, atti di violenza fisici e verbali, mancanza di fiducia in noi stessi e negli altri.
Margherita ci dimostra che c’è sempre una via di uscita, tutto sta nel trovare la nostra.
“Impari l’importanza dell’equilibrio quando hai assaggiato la perdita dell’equilibrio stesso, altrimenti come puoi sapere quando averlo e quando perderlo? Tu scappi da lui, perché scuote un equilibrio che è una prigione in cui ti senti protetta da un passato feroce che ti ha ‘bruciata’ viva. Ma l’amore è cura e noi siamo malati eterni di attenzioni, che ci alimentano cuore e mente. Lo capisci che serve anche a te?”