Donna, vita, libertà: la voce delle donne iraniane
Zhen, Zhian, Azadi. Donna, vita, libertà.
Queste sono le parole che da quasi tre mesi risuonano per molte strade dell’Iran, da quando al funerale di Mahsa Amini vennero urlate per la prima volta.
La rivolta che scuote l’Iran non si ferma, le minacce, le violenze e le torture del regime non servono a piegare gli animi della popolazione, la quale non ha più nulla da perdere e preferisce affrontare il dolore piuttosto che continuare a vivere una vita priva di libertà.
La morte violenta il 16 settembre, di Mahsa Amini, 22 anni, uccisa dalle percosse della polizia religiosa perché non indossava bene l’hijab, ha provocato una reazione di disgusto e mobilitazione che ha progressivamente coinvolto gran parte del paese.
La rabbia feroce per anni di repressione e privazioni di diritti sistematica è scoppiata, altrettanto forte la risposta del regime che cerca di sedare con la forza le aspirazioni di un’intera generazione di giovani che non si riconosce più in questo sistema di vita.
Negli scontri sono morte secondo i dati riportati da Human Rights Activists 451 persone e 18 mila sono state arrestate.
Le vittime sono in gran parte giovani donne, scese in strada a capo scoperto coscienti della loro importanza all’interno della società e non più disposte ad affrontare un’esistenza a metà, private dei diritti fondamentali.
Il regime teocratico degli ayatollah è ormai distante dalla realtà, incapace di comprendere i mutamenti della società, ottusamente ancorato a posizioni retrograde.
Le giovani che protestano contro l’uso del velo chiedono possibilità di scelta, chiedono libertà di decidere se indossarlo o meno, rivendicano equità di trattamento nello studio, nel lavoro. Vogliono essere padrone della loro vita e viverla senza essere considerate inferiori e con diritti uguali a quelli degli uomini.
Non vi è futuro se le donne sono oppresse, se è proibito loro perfino cantare.
Dopo la rivoluzione del 1979 Khomeini, per placare la popolazione, dichiarò non obbligatorio indossare il velo, fu nel 1983 che con una legge venne dichiarato obbligatorio. Traditi dagli esiti di quella rivoluzione, che ha poi visto un inasprirsi ulteriore del controllo del regime, gli iraniani ora si rivoltano contro di esso.
Amnesty International in un recente rapporto afferma che molteplici diritti sono violati, infatti in Iran oggi una donna deve coprirsi con il velo, non può cantare e ballare, non le è concesso divorziare, riceve un’eredità minore rispetto ai fratelli, non può viaggiare all’estero da sola. L’età minima legale per sposarsi è ancora tristemente fissata a 13 anni per le ragazze. Molti crimini di violenza sulle donne restano impuniti.
Alle proteste si sono uniti strati sempre più ampi della popolazione, che contestano al regime l’incapacità di far fronte alla crisi economica, causata da sanzioni ed embarghi, che ha gravato sulle fasce più deboli della popolazione in particolare.
Incerto però è l’esito di tutte queste proteste, se riusciranno a dar vita a un vero e proprio movimento rivoluzionario che scalzerà il regime religioso ed instaurerà nel paese una democrazia come quelle occidentali.
Una certezza purtroppo ci sta ed è il costo che tutto questo avrà in termini di vite spezzate.
“Per ballare per le strade, per baciare i propri cari, per le donne, la vita, la libertà“. Questo è un verso della canzone Baraye del musicista Shervin Hajipour presto diventata l’inno delle proteste.
Possano in un futuro le donne iraniane ballare felici, camminare nelle piazze con i capelli al vento, cantare per le strade con voce squillante, libere di essere ciò che vogliono, felici di vivere.
Il nostro pensiero va dunque a tutte le donne che in queste ore sono in strada a battersi per una vita migliore e alle tante che sono morte.
Beatrice Gargiulo
Leggi anche: Senza velo