La laurea non è una gara di velocità ma un percorso formativo
Non si contano più gli articoli pubblicati in Italia su cosiddetti giovani talenti laureatisi in tempi record, prima di altri o con il voto più alto; insomma un vero e proprio inno alla competitività più sfrenata e al sensazionalismo.
Senza nulla togliere a questi ragazzi/e che avranno svolto nel migliore dei modi il loro percorso universitario, è evidente la problematicità di queste notizie, del modo in cui vengono poste e presentate, fomentando l’idea che l’università costituisca una sorta di gara a chi si laurea più in fretta e con il voto più alto, creando inevitabilmente la credenza in moltissimi altri studenti di non essere abbastanza capaci, veloci o altro.
Come se non vivessimo in una società già abbastanza ipercompetitiva, basata sulla performatività capitalista più spietata, sul produrre costantemente qualcosa, arriva questa retorica mediatica ad alimentare questa logica del record e dell’università come fabbrica.
L’università dovrebbe essere un luogo di apprendimento, di formazione collettiva anche e soprattutto a livello umano; un luogo da vivere in cui imparare, confrontarsi, scambiare opinioni, fare amicizie, non una specie di azienda o fabbrica in cui svolgere un tot di ore e dare esami il più in fretta possibile e col massimo rendimento, secondo una logica dell’ottimizzazione del tempo di lavoro per il massimo rendimento possibile, per cui il tempo libero, ammesso che ci sia, è concepito esclusivamente come un momento per ricaricare le batterie per poter tornare ad essere macchine obbedienti e sempre più efficienti.
Gli articoli che idolatrano questi studenti geniali laureatisi in tempi record non fanno altro che reiterare quella logica capitalistica per cui l’università prima ancora di essere un ambiente di formazione ed istruzione, deve essere un luogo che ti permetta di entrare nel mondo del lavoro il prima possibile.
Inutile dire che questa retorica dello studente prodigio è quantomeno lacunosa dal momento che non tiene conto del fatto che moltissimi studenti ogni anno, per poter pagare la retta dell’università oppure una stanza perché fuorisede, hanno necessità di lavorare, il che naturalmente, fa sì che si abbia molto meno tempo a disposizione per studiare; ciò non implica però che questi studenti non possano essere altrettanto capaci e meritevoli.
Risulta evidente che esaltare lo studente che si laurea per primo, il più giovane o quello con il voto più alto è assurdo dal momento in cui ci si dimentica che ogni studente ha un proprio background e vive un determinato contesto, per cui fare paragoni, decidere chi è più meritevole crea inevitabilmente un meccanismo di inclusione/esclusione nonché sentimenti d’angoscia ed ansia per le maglie sempre troppo strette di una società della performance e della competizione classista per cui se sei dentro e stai al passo bene, altrimenti sei fuori e tocca arrangiarsi ed arrancare.
Benedetta De Stasio
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