Laureati sottopagati: il video dell’ingegnera racconta l’Italia
Si chiama Ornela Casassa l’ingegnera edile che, involontariamente, denuncia un’Italia che continua a maltrattare i giovani laureati.
Nel video, pubblicato una settimana fa dalla consigliera Serena Candia, e diventato virale in pochi giorni, l’ingegnera edile racconta di un episodio avvenuto due anni fa, quando le fu proposto dallo studio associato in cui lavorava uno stipendio mensile di 900 euro a partita Iva (quindi, 750 netti).
Queste le sue parole: “Ho detto no. 900 euro a partita Iva vuol dire 750 euro nette. Tu stai con mamma e papà che ti possono mantenere e dici a me “quei 900 euro non cambiano niente”. Io che sono tua coetanea, laureata tanto e quanto te, assunta nello stesso periodo, io non accetto perché non posso e perché non è giusto. Non stiamo parlando di gente che non ti può pagare, ma di gente che sa che il sistema è così e non ti paga. Sennò perché quando ho rifiutato mi hanno dato i 1200-1300 euro che ho chiesto? E hanno detto “però li diamo anche alla tua collega che è stata assunta insieme a te” anche se lei aveva accettato 900 euro? Tu che hai il privilegio di poter accettare devi essere la prima a dire di no, altrimenti chi non può rifiutare, è costretto ad abbassare l’asticella. Ecco che cosa deve fare la sinistra, deve smettere di far abbassare l’asticella nel lavoro”.
La storia di Ornela Casassa è la storia di tantissimi laureati. Di tantissimi giovani brillanti che faticano a trovare una strada, non per mancanza di capacità, ma per l’arroganza, la prepotenza, l’indifferenza dei datori di lavoro.
Purtroppo, tra i commenti al video si leggono ancora persone che giustificano i datori di lavoro dell’ingegnera, e che si chiedono per quale motivo la donna non abbia fatto (l’ennesimo) sacrificio e accettato.
Sembra che ci sia un’eterna guerra tra poveri, in Italia, dove ci si azzanna per un tozzo di pane, mentre l’imprenditore di turno ha l’intero panificio, e viene comunque giustificato. Così non funziona più, non va più bene. La generazione dei millenials e la generazione Z ha attuato e sta attuando una rivoluzione silenziosa, non scende in piazza (e forse dovrebbe) ma rifiuta, denuncia tramite social.
Ma c’è anche chi è costretto ad abbandonare il proprio paese. A lasciare la famiglia, il fidanzato o la fidanzata, gli amici, tutti gli affetti, alla ricerca della tanto agognata dignità personale. Quella che ci viene costantemente negata, come se non fosse il diritto di una persona vivere serenamente, raccogliere i frutti del proprio sudatissimo raccolto. E invece no, sembra che il Belpaese abbia un serio problema soprattutto con i laureati.
Il sottotesto che si evince è quello di un paese che detesta l’ambizione, il talento, la determinazione. Non sa che farsene, l’Italia, dei tanto bravi laureati. E, spesso, se li lascia scappare. Anche se si parla moltissimo (e, più che altro, male) d’immigrazione, i dati sull’emigrazione sono preoccupanti. Ogni anno, l’Italia perde una popolazione grande quanto la città di Lucca. Circa 84 mila sono gli emigranti, 3 su 4 laureati hanno circa 25 anni o più. L’Italia, di conseguenza, diventa un paese sempre più anziano, con un tasso di natalità ai minimi storici e una perdita di ben 3 miliardi, perdita dovuta alla fuga dei laureati all’estero (che, nel frattempo, rimpinguano le tasche dei paesi in cui andranno a vivere).
Una situazione inaccettabile, tossica, che continua da anni e che non sembra voler smettere in alcun modo. Nemmeno il giornalismo, che dovrebbe denunciare questa situazione e dare voce ai tantissimi fuorisede, pendolari, neolaureati depressi e in preda all’ansia, dà spesso una mano a tal proposito. Ne sono un esempio i fiumi di articoli-lode verso gli studenti laureatisi in tempo, anche a scapito di salute mentale, sonno e quant’altro. Attenzione, lodare chi si impegna non è mai sbagliato. Ma lo diventa quando, volutamente, la stampa e i media tendono ad essere omertosi verso vicende tragiche, senza indagarne le radici drammatiche che indirizzano verso l’estremo gesto.
Non si può stare male perché il futuro ti sembra un’odissea senza senso, per lo più fatta di delusioni e di pessimismo. Non si può voltare la faccia per l’ennesima volta su un argomento di cui nessuno, in politica, sì, nemmeno la sinistra, sembra volerne parlare sul serio.
La vicenda riportata da Ornela Casassa è una testimonianza che ha avuto un lieto fine: adesso lavora a partita Iva, per sua scelta, presso uno studio che le dà quanto le spetta. Ma non tutte le vicende terminano così. Alcuni giovani crollano sotto il peso delle aspettative, proprie ed altrui, e sotto il peso di una mancanza di sostegno legittima, che ogni stato dovrebbe garantire.
I tempi sono più che maturi per cambiare le carte in tavola, per far sì che nessun giovane si senta più depresso, ansioso o entrambi per una mancanza di prospettiva.
Aurora Scarnera
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