Essere una sportiva in Iran
Ogni giorno mi alzo, faccio colazione, mi lavo, mi trucco (quando mi va), mi vesto (con la prima cosa che mi capita a tiro) ed esco a volte con la leggerezza nel cuore, altre volte con mille pensieri che mi frullano per la testa. In ogni momento sono libera.
Libertà… Questo termine ha caratterizzato e tuttora caratterizza la mia vita quotidiana. Mi son sempre pensata libera (semi-cit. di Chiara Ferragni) e c’è una frase che porto tatuata sul cuore “meglio un uccello libero che un re prigioniero”.
C’è stato un momento qualche anno fa in cui in pieno caos pandemico, davanti ad un campo di papaveri mi sono chiesta “e se domani non fossi più libera?”.
Per un occidentale risulta scontato definirsi libero (discorso a parte è la questione socio politica che viviamo), e al minimo cenno di “restrizione” parlare di anticostituzionalità; chi invece nasce, cresce e muore in un paese dove anche un foulard fuori posto autorizza qualcun altro ad ucciderti, sente la mancanza della libertà? Chi nasce dietro le sbarre può provare malinconia per qualcosa che non ha mai assaporato? Sì. Sì. Sì assolutamente sì. E i social, quei social nati per avvicinare, fanno man forte. In essi viviamo le vite degli altri ed assaggiamo le loro esperienze, le loro risate, le loro lacrime. Io mi sento vicina alle donne del Medio Oriente, io mi sento vicina alle donne che vittime di abuso non possono abortire nella propria città perché i medici in ospedale sono obiettori di coscienza (Giuramento di Ippocrate? 2023?), io sono vicina alle donne vittime, alle donne vittime di tutto il mondo.
È di pochi giorni fa la notizia del silenzio da parte della squadra femminile iraniana di calcio a 5 mentre risuonava in campo l’inno nazionale, durante la chiusura dei Campionati dell’Asia Centrale, vinti proprio da queste.
Le sportive a sguardo basso hanno onorato la protesta (riprendendo l’esempio dei colleghi di beach soccer, pallanuoto e calcio) contro la Repubblica islamica, partita da Teheran il 16 settembre dello scorso anno, dopo la morte di Mahsa Amini.
Ma come si vive oggi lo sport in Iran?
“E non è vero che lo sport è così slegato da quello che succede: tanti sportivi avevano preso le distanze. Qualsiasi azione è più che sportiva.” – ha dichiarato Alessandra Campedelli, ex C.T. della squadra femminile di calcio a 5 durante un’intervista alla Gazzetta dello Sport – “Ho visto ragazze piangere prima dell’incontro con il presidente dell’Iran, Ebrahim Raisi. Quell’incontro con il presidente era obbligatorio. Abbiamo provato a rifiutarci, ma non abbiamo potuto. All’incontro che abbiamo fatto con il presidente se ne sono presentate solo 6, le altre non sono venute per una presa di posizione. Sicuramente quelle che non si sono presentate a quell’incontro non verranno più convocate in Nazionale. Non so che punizioni verranno comminate. Quando ho provato a chiedere informazioni non me le hanno volute dare. E quelle ragazze non le ho più viste.”
Secondo altre notizie apparse sui social media, molti atleti iraniani che si sono rifiutati di cantare l’inno son stati conseguentemente licenziati dalla squadra o hanno subito interventi dalle forze di sicurezza.
Quindi, ad oggi in Iran (e probabilmente non solo lì) non esiste uno sport libero dai luridi meccanismi politici. Non vi sono notizie aggiornate, il mondo tace…
Come spesso amava dire al pubblico Luciano De Crescenzo: “La vita potrebbe essere divisa in tre fasi: Rivoluzione, riflessione e televisione. Si comincia con il voler cambiare il mondo e si finisce col cambiare i canali.” Ed è così che noi occidentali affrontiamo i problemi vicini e lontani.
Piccolo riso sardonico e poi “avanti”.
Video ufficiale del “mancato” inno: https://twitter.com/pouriazeraati/status/1620091406831489024?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1620091406831489024%7Ctwgr%5E7cc1f5986b1ebdc71676f115b16491709d1e6359%7Ctwcon%5Es1_c10&ref_url=https%3A%2F%2Fd-38437321152243252409.ampproject
Antonietta Della Femina
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