Senza paura ancora una volta
In Iran le proteste non si fermano, a sei mesi dal loro inizio, quando Masha Amini, 22enne curda in visita a Teheran, è stata arrestata dalla polizia morale e morta tre giorni dopo per le percosse.
Sebbene le rivolte abbiano subito una battuta d’arresto negli scorsi mesi, per le feroci ritorsioni del regime, ora nei giorni della festa di Chaharshanbe Suri che precede il capodanno persiano, i manifestanti si sono organizzati per far sentire ancora la loro voce.
La festa di Chaharshanbe Suri ha origini antiche risalenti alla religione zoroastriana, è una delle feste più sentite dalla popolazione iraniana, il fuoco è l’elemento principale che viene venerato per la sua azione purificante contro il male, simbolo di luce.
Non è un caso che gli attivisti di Donna, Vita, Libertà si siano organizzati dichiarando tre giorni di protesta proprio in occasione di questa antichissima festa, in quanto il male principale è considerato ormai il regime religioso degli ayatollah guidato da Ali Khamenei.
Immediatamente le rivolte sono sorte in molte città: Teheran, Sanandaj, Gorgan, Rasht, Baneh, Saqqez, Mashhad, Zanjan.
Le persone si sono ritrovate intorno a quei fuochi, senza paura ancora una volta, per criticare il regime.
Secondo un bilancio, i morti sono stati 11 e 3500 feriti. Dall’inizio delle proteste il 16 settembre sono morte 600 persone, 20.000 gli arresti e 4 impiccagioni.
Le autorità hanno deciso di schierare numerosi agenti anche in borghese, come afferma la BBC, per fermare le proteste.
Temendo possibili aumenti delle agitazioni hanno ordinato la chiusura delle scuole.
Le scuole e le università sono le grandi sorvegliate dal regime, l’istruzione è pericolosa per gli ayatollah, produce consapevolezza e quindi dissenso.
Ha fatto il giro del mondo infatti la raccapricciante notizia che il governo misogino di Khamenei si è spinto addirittura ad avvelenare le studentesse. Una punizione per colpire il dissenso, colpirle in quanto donne.
Il regime ha quindi puntato il dito contro i Mojahedin, accusandoli di essere gli artefici degli avvelenamenti e anche delle proteste della festa dei fuochi, ma ormai i più ritengono che il responsabile sia il regime stesso.
Lo scorso 8 marzo, festa delle donne, cinque ragazze hanno registrato un video diventato virale, in cui ballavano a capo scoperto ad Ekbatan; identificate, sono state poi arrestate per aver violato il divieto che proibisce alle donne di ballare e per non aver indossato il hijab, e costrette poi a registrare un nuovo video in cui si pentivano per il gesto nello stesso posto in cui avevano ballato, questa volta con il capo coperto.
Il terreno sotto i piedi degli esponenti del regime comincia a tremare, ne sono consapevoli e hanno paura, temono le donne e la forza che stanno dimostrando, la tattica usata è quindi quella di colpire ad oltranza con tutti i mezzi, senza risparmiare nessuno, con quanta più violenza possibile, come monito per chiunque voglia opporsi.
Molti attivisti chiedono di inserire i Pasdaran, il corpo paramilitare usato dal governo noto anche con il nome di guardie della rivoluzione islamica, tra le organizzazioni terroristiche.
Il tristemente famoso carcere di Evin trabocca di persone innocenti condannate per le proteste. Le donne ricevono le punizioni più feroci, volte ad umiliare, torture e stupri sono all’ordine del giorno.
La comunità internazionale è pienamente consapevole di tutto ciò, ma manca la volontà, per ragioni economiche, di dare una condanna ferma e definitiva al regime terroristico di Khamenei, imponendo sanzioni ed aiutando il popolo ad avere nuovamente la libertà.
Beatrice Gargiulo
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