Cresce il numero di ragazzi che sceglie di lasciare l’università, l’Italia al 7,3%
Competizione malsana, costi elevati ed eccessive pressioni da parte delle aspettative della società sono la base di un sistema malato che inghiottisce sempre di più un elevato numero di studenti universitari, gli stessi che ai limiti della sopportazione decidono di interrompere gli studi.
In base ad alcuni dati statistici pubblicati circa una settimana fa dal ministero dell’istruzione, nell’anno accademico 2021/2022 sono stati registrati dei dati record a riguardo degli studenti che abbandonano l’università e presentano la rinuncia agli studi entro il primo anno di iscrizione.
I numeri segnano 23.000 studenti che hanno lasciato il percorso universitario, toccando il 7,3% del totale.
Facciamo un quadro generale della situazione in Europa in base alla fonte Eurostat: l’Italia è la nazione con la percentuale più bassa di ragazzi laureati, registrando una percentuale del 31,2% differentemente dal Lussemburgo e dall’Irlanda che si posizionano al primo posto con i rispettivi dati del 63% e 62%.
La domanda sorge spontanea: “Perché la maggior parte sceglie di non proseguire gli studi o abbandonarli?”.
Vi sono molteplici cause che iniziano col toccare la sfera economica e finiscono con quella sociale.
Per chi è costretto a spostarsi, ed essere un fuorisede il costo della vita nelle metropoli è molto più alto e questo non aiuta a bilanciarsi con l’alto numero delle tasse che le grandi Università richiedono ogni semestre.
Infatti, in molte regioni d’Italia se uno studente decide di lasciare la propria facoltà entro il primo anno, sarà impossibilitato a ricevere la borsa di studio per gli anni successivi. Questo, inevitabilmente innesca un avvilimento tale da scegliere di dedicarsi alla vita lavorativa – opportunità permettendo – per un proprio sostentamento e una propria crescita personale, se solo anche questo fosse un’occasione semplice da cogliere.
Non a caso, l’Italia riporta il numero più alto in Europa (23%) anche sui giovani tra i 15 e 29 anni che non lavorano né sono inseriti in un percorso di istruzione o di formazione. Tutto ciò genera sia per i ragazzi a cui spetta scegliere il tipo di studio che si vuole intraprendere e sia per coloro che dovranno iscriversi alla scuola superiore una vera e propria dispersione.
Il governo italiano ha così deciso di prendere provvedimenti: ha stanziato 1,5 miliardi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza alla dispersione scolastica e alle povertà educative.
La rata qui riportata sarà la prima di tre tranche di pagamento, al fine di poter offrire la possibilità ai giovani (che hanno abbandonato precocemente gli studi) di fargli conseguire un diploma e potenziare le competenze base per superare le differenze territoriali.
Date le manie di superiorità e di eccellenza, l’università si presenta per di più come fonte di disagio e competizione, inducendo gli studenti a frequenti ansie e malesseri con cui vivono il loro percorso di formazione, talvolta sfociati in vere tragedie – sono tanti i casi di suicidio- perchè pressati dal confronto con altri ragazzi. È il loro senso di inferiorità che alimentato li conduce a determinate scelte drastiche ed estremiste, visto anche il mancato supporto psicologico presso gli enti scolastici e poli universitari.
Tutto questo non deve lasciare indifferente, non dobbiamo normalizzarlo né ritenere estremamente fragile lo stato mentale dei ragazzi, considerando quasi esagerate le loro paure.
L’università, così come la scuola, dovrebbero essere le istituzioni pronte a non lasciare indietro nessuno e lottare affinché diventino più eque così da essere in grado di rispondere alle esigenze di ognuno, costituendosi come un presupposto fondamentale per una società in cui ciascuno individuo può realizzarsi al meglio, sentendosi adeguato e non inferiore al suo interno.
Alessandra Lima
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