Femminicidio e altri rimedi per non farsi lasciare
Oggi parlo di una cosa che non va.
Per quanto in Italia, e nel mondo, certe volte si cerchi di sopravvivere semplicemente staccando la corrente per evitare di vedere i problemi, le vicende delle ultime settimane, e di Giulia, non ci lasciano scampo.
Dubito di poter portare luce in grandi spazi, ma posso cominciare da un armadio, o sgabuzzino, quello dove spesso siamo abituati a nascondere gli scheletri.
È macabro parlare di scheletri. Ugualmente macabro è parlare di morte, eppure è inevitabile. Evitabilissimo invece è dover ascoltare continuamente notiziari in cui bambine, ragazze e donne scompaiono, “fanno perdere” le loro tracce, spariscono, vengono minacciate, pugnalate, uccise. E come se l’uccisione in sé non bastasse, dopo questa, vengono anche nascoste, abbandonate in un bosco o buttate in una cantina, con la polvere e le cose vecchie.
Di solito la vicenda dura pochi giorni, altre volte dura anni, ma la successione degli eventi è sempre la stessa.
Donna scomparsa, servizio al tg, interviste a fidanzati, compagni, mariti, ex e attuali nei programmi pomeridiani, continuano le ricerche, continuano le interviste, finché non si trova un dettaglio, un indizio, una incoerenza, e allora i fidanzati, compagni, mariti, ex e attuali, stremati dal senso di colpa, finiscono per confessare che sì – niente di diverso dal solito copione – l’hanno ammazzata.
Così distrutti e sofferenti in diretta, incalzati dalle pressioni dei giornalisti, costernati a tal punto per l’azione commessa da non poterne più tollerare il peso.
I motivi sono sempre gli stessi, ed è inutile dire che non solo non si tratta di motivi validi, dato che motivi validi per uccidere qualcuno difficilmente ce ne sono, ma non sono neanche motivi.
La rabbia, la gelosia, la solitudine, la sensazione di aver perso la persona della propria vita. “La persona della propria vita”, privandola della vita stessa.
Non sono tragedie, non c’è Shakespeare a far rivivere lo struggimento e la passione tormentata di una giovane coppia di amanti, non c’è sentimento, non c’è amore che tenga. Semplicemente non c’è amore.
“L’ho uccisa perché la amavo troppo”, non lo dicono neanche più gli assassini. Si sono stancati anche loro di dover cercare una ragione per la loro azione. Tanto questa ragione, ormai neanche gliela si chiede più.
Si dà per scontato. Si tratta solo dell’ennesimo caso di femminicidio in Italia. Non siamo forse già altamente preparati? Non ce ne stupiamo neanche, la conosciamo fin troppo bene la fine della storia. Ne siamo stanchi.
Anche io sono stanca.
Sono stanca di avere già la risposta davanti a una ragazza che sparisce per giorni. Sono stanca di vedere quanto sia dato per scontato che debba andare per forza così.
Sono stanca di dovermi sentire un essere indifeso che deve essere protetto, perché il mondo è un posto pericoloso e in certe situazioni non ci si dovrebbe infilare.
Sono stanca di chi riesce a dare comunque colpa alla vittima, anche quando questa non ha più parole per difendersi. Sono stanca di dovermi trattenere nell’esprimere il mio dissenso, per paura di essere messa a tacere.
Sono stanca di non avere la libertà di poter decidere come vivere e che altri si prendano il diritto di decidere quando invece debba morire.
Sono stanca delle corde che si spezzano così facilmente e degli equilibri precari da non disturbare.
Sono stanca di non poter stabilire quando andare via, e che mi si costringa a rimanere, con parole che diventano minacce e strette, che già sono lividi.
Sono stanca di scrivere la parola femminicidio in un documento word e che il programma non la riconosca come corretta, quando di errato c’è tutto tranne che la parola stessa.
Sono stanca di sapere che l’ordinamento penale italiano non preveda il reato di femminicidio, né come crimine autonomo in sé, né come aggravante.
Sono stanca della facilità con cui ci si è abituati alla violenza di genere e alle sue esplosioni continue. Ancor di più, sono stanca della facilità con cui mi ci sono abituata io.
Sono stanca, sì. Ma non vi darò la soddisfazione di essere anche vittima.
Stefania Malerba
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