Don Milani: un nuovo modello di insegnamento
“Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra disuguali”.
Le parole di Don Lorenzo Milani, un uomo ed educatore che ha speso la sua vita per gli ultimi.
Ma cosa significa questa frase? E, soprattutto, cosa c’entra un parroco con l’educazione?
Beh, Don Milani rappresenta una figura fondamentale nella metà del secolo scorso, ma facciamo qualche passo indietro.
La scuola e il sistema educativo, come lo conosciamo oggi, non esisteva fino agli anni ‘70 del 1900. La parola inclusione era ancora sconosciuta. Gli insegnanti si limitavano a spiegare, richiamare e punire gli alunni.
Insomma, il rapporto docente-discente era principalmente basato su spiegazioni e verifiche.
Don Milani, fu presbitero, docente ed educatore. Nacque a Firenze nel 1923 da una famiglia particolarmente acculturata e si trasferì a Milano dove passò gran parte della sua adolescenza. Con l’arrivo del fascismo in Italia, data l’origine ebraica della madre, ricevette il battesimo.
Dopo aver frequentato il liceo non si iscrisse all’università e questo portò molti contrasti con il padre.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale tornò a Firenze e decise di entrare in seminario. Lì sviluppò idee riguardo l’ingiustizia sociale e la forte autorità politica, derivata dal contesto in cui egli viveva.
Nel 1947 divenne sacerdote ed ebbe il primo incarico nella parrocchia di San Donato a Calenzano, vicino Firenze. Proprio qui ebbe inizio la sua carriera di educatore, infatti, creò una prima scuola popolare gratuita ed accessibile a tutti.
Fondamentale per lui l’insegnamento della lingua italiana con la finalità di uguaglianza ed aiuto a superare le ingiustizie sociali.
In pratica, Don Milani, riteneva che, conoscendo l’italiano, si potesse combattere e lottare per i propri diritti.
L’istruzione diventa quindi l’unico mezzo per la liberazione sociale.
Durante le elezioni del 1951 e quelle del 1953, egli dichiarò l’importanza della libertà di voto e soprattutto che ognuno doveva votare secondo i propri pensieri. Questo atto, profondamente contrario rispetto alle idee della Chiesa, gli costò il trasferimento a Barbiana nel 1954.
Qui, fino al 1967, Don Milani dà vita ad un’esperienza unica per i giovani, particolarmente disagiati in quei territori.
Il suo metodo fu innovativo ed egli riprese la sua idea dal motto inglese “I care”, ovvero “mi importa”.
Consisteva nel riunire i ragazzi in orari diversi rispetto alla scuola tradizionale. Si stava insieme, si leggeva, e si discuteva riguardo argomenti di attualità.
Il programma che metteva in pratica Don Milani era aperto, libero e condiviso, ma anche in questo caso la rivoluzione apportata ebbe diverse critiche.
Il parroco non si arrese e continuò il suo progetto educativo che cercava di compensare le mancanze degli studenti disagiati, poveri e abbandonati.
Purtroppo, Don Lorenzo Milani si ammalò di leucemia e morì nel 1967 a Firenze, ma il suo corpo fu deposto a Barbiana.
Particolare è il testo “Lettere ad una professoressa”, nel quale il parroco accusa l’intero sistema scolastico del tempo che respingeva i più bisognosi per dare spazio ai ricchi.
Scriveva appunto: “Cara signora, lei di meno ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che respingete. Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate”.
Inutile dire che questo testo fece molto scalpore, ma allo stesso tempo riuscì a far aprire gli occhi su quello che era il sistema scolastico tradizionale.
Don Milani è un esempio di dedizione, amore e tolleranza, ma soprattutto lotta contro le ingiustizie. Grazie al suo contributo, oggi si cerca di arrivare ad una scuola aperta e giusta, che metta da parte pregiudizi ed inutile durezza, per mirare all’uguaglianza tra gli studenti.
Quindi, che dire, grazie Don Milani!
Martina Maiorano
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