Proteste e manganelli: è successo ancora
Il dissenso è un diritto, ma per protestare di questi tempi ci vuole coraggio.
«Basta, hanno rotto il cazzo» esordisce in un video un poliziotto in borghese prima di dare il via libera al reparto, che con manganelli e scudi respinge gli studenti.
Termina così la giornata di proteste sociali del 3 ottobre a Torino. Il giorno non è causale, era infatti atteso l’arrivo di Giorgia Meloni a Palazzo Carignano per il festival delle regioni. La zona in virtù dell’evento era quindi stata trincerata.
Le proteste sono iniziate già al mattino, a prenderne parte collettivi studenteschi come Cambiare Rotta, alcuni membri del centro sociale Askatasuna ed altre persone per un totale di circa 300 partecipanti.
La protesta è animata sin dalle prime ore, si procede al passo spedito, si intonano cori e si portano striscioni recanti la scritta «Meloni a Torino non sei la benvenuta». Una marcia sicuramente sentita, come è normale che sia, ma non violenta.
«Abbiamo un messaggio per Meloni – hanno urlato i manifestanti -, non è benvenuta in questa città come non è benvenuta una passerella per questi politicanti che stanno lasciando la gente affamata nelle strade spacciandosi per chi vuole risolvere i problemi sociali ma tagliano fondi a tutti i servizi sociali».
Il fulcro della contestazione è infatti la carente attenzione portata da parte del governo ai giovani studenti, ai quali spesso non viene garantita neanche una casa per via della liberalizzazione totale del mercato immobiliare a Torino (che permette a chiunque di trasformare il proprio alloggio/casa in un Rbnb senza introdurre politiche di tutela per gli studenti fuorisede).
Il collettivo Cambiare Rotta in merito dichiara:
«vogliamo l’abolizione della legge 431/98 a firma centrosinistra che liberalizza alla follia il mercato degli affitti e la reintroduzione dell’equo canone; vogliamo un piano strutturale di investimento sull’edilizia universitaria pubblica; vogliamo un tavolo permanente con MUR, MIMS e Enti regionali per il diritto allo studio; vogliamo l’esclusione dei privati da fondi del PNRR».
Il problema sollevato dal collettivo e dai manifestanti non è nuovo ma si protrae da anni, con una sola piccola interruzione del problema dovuta all’emergenza Covid19.
Le proteste erano dunque legittime, contestualizzate e mirate. Nulla di campato in aria “tanto per fare un po’ di casino”. Eppure il video dell’ultimo scontro, avvenuto sotto la Mole Antonelliana, mostra una repressione piuttosto violenta.
Un ragazzo da me intervistato, presente all’evento racconta: «da parte dei manifestanti l’unico atto lievemente violento è stato il tentativo di forzare il cordone della polizia, 3 volte in punti diversi, spingendo a mani nude.»
I tentativi da parte dei manifestanti di avvicinarsi a Palazzo Carignano ci sono stati, ma nulla di così violento da poter essere fermato solo con una carica della polizia.
Amnesty International ha condannato le violenze di Torino, evidenziando come «durante le manifestazioni del 2 e del 3 ottobre indette a Torino da studenti, movimenti e società civile per esprimere il proprio dissenso nei confronti delle politiche del governo in occasione della visita della presidente del Consiglio, c’è stato l’ennesimo uso della forza illegittimo ed eccessivo da parte delle forze di polizia impiegate in funzioni di pubblica sicurezza».
La premier, durante un discorso precedente al suo arrivo a Torino, ha affermato di provare un «moto di simpatia» per le proteste politiche, poiché parte di «una storia che è stata anche la mia». Tuttavia la reazione della polizia in molteplici situazioni è stata tutt’altro che simpatica. Ne è un esempio la violenta repressione del non troppo lontano 2022, quando si protestava per la morte di Lorenzo Parelli, diciottenne deceduto sul luogo di alternanza scuola-lavoro. Anche in questo caso le proteste erano state sedate nel sangue senza che in precedenza ci fosse stato un reale attacco da parte dei manifestanti. Uova, vernici e simili ma nessun attacco che potesse comportare una violenza così efferata da parte delle forse dell’ordine (come manganellare persone inermi al suolo ad esempio).
Il testimone degli eventi di Torino afferma: «Io non mi intendo di gestione dell’ordine pubblico, ma non ho compreso la necessità di tenere il corteo bloccato in piazza Castello per così tanto tempo né il motivo per cui non potevano muoversi liberamente per la città: comprendo la zona rossa per la presidente del consiglio, ma non la gestione complessiva».
Un eccesso analogo è avvenuto anche presso il Salone della Letteratura di Mantova dove l’attivista Sofia Pasotto viene trattenuta dalla Digos per aver mostrato cartelloni di protesta.
L’intervento della Digos ci ricorda anche il Salone del libro di Torino dell’anno scorso, dove a essere schedati ed arrestati senza reale necessità furono le attiviste pro aborto, per aver interrotto l’intervento della ministra Roccella con un sit-in.
La Repubblica Italiana è stata fondata sulle ceneri della repressione, della manipolazione delle informazioni e dell’odio verso determinate categorie. Nonostante le differenti visioni in merito al futuro del nostro paese, quel 28 giugno 1946 i membri dell’Assemblea Costituente si sedettero al tavolo delle trattative con la certezza di non voler più tornare indietro. La libertà di parola, di pensiero e il diritto al dissenso sono stati espressamente stabiliti nella nostra Costituzione. Per questa ragione è assolutamente non tollerabile che al dissenso non venga dato spazio, ma che si cerchi costantemente di occultarlo, di reprimerlo con la forza e se non basta di demonizzare chi lo pratica agli occhi dell’opinione pubblica.
Sofia Seghesio
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