#Cicatricefrancese: quando l’autolesionismo è una challenge
L’ennesima webchallange sta sollevando importanti interrogativi sui contenuti che incassano migliaia di visualizzazioni tra giovanissimi e adolescenti.
I social sono da anni la piazza virtuale che alimenta comportamenti limite, forti dell’emulazione giovanile e delle dinamiche followers-like.
I ragazzi sono bombardati da challenge, alcune delle quali estreme, sfide basate su atti di coraggio che portano a compiere azioni pericolose, che a volte sfociano nel suicidio.
Tra queste, una della più recenti è la cicatrice francese, una nuova forma di autolesionismo tutto social. Il nome del trend, che arriva dalla Francia ma ha attecchito anche in Italia, deriva dalla terribile abitudine dei miliziani del dittatore haitiano François Duvalier (conosciuto come Papa Doc) di mostrare sfregi e cicatrici sul viso con orgoglio, come simbolo di forza bruta.
La sfida consiste nel pinzarsi le guance con l’interno di due dita, l’indice e il medio, fino a prodursi dei lividi orizzontali in corrispondenza degli zigomi, che ricordano i segni di guerra dipinti sul viso dei pellerossa. Ottenuto il livido, le immagini e i video del volto vengono postati online, accompagnati con l’hashtag #cicatricefrancese. Non è raro imbattersi in contenuti di giovani e giovanissimi che mostrano questo comportamento con dei veri e propri tutorial, rivolgendosi a preadolescenti e adolescenti, catturando l’attenzione di ragazzi di età compresa tra i 10 e i 18 anni. L’obiettivo, oltre al desiderio di conformarsi, è quello di mostrare un aspetto da duri, rendendosi visibili dopo aver finto di partecipare a uno scontro violento con orgoglio e coraggio.
Perché si arriva a tanto?
Perché la sofferenza fisica serve a lenire un dolore psichico, così potente da non dare tregua, un modo per colmare un vuoto, creando una tabula rasa emotiva per regolare emozioni troppo intense.
Ma anche perché i giovani sembrano abbandonati a loro stessi, a nessuno sembra importare davvero di guidarli e sostenerli nel comprendere la differenza tra giusto e sbagliato. Sono ragazzi alle prime armi con la vita che, nonostante l’atteggiamento da duri, nascondono fragilità intime e riservate, ragazzi che ostentano la fisicità come involucro di un contenuto ancora acerbo – fisicità come unico mezzo per emergere o sopraffare l’altro. Ed ecco che una cicatrice non è più motivo di vergogna o imbarazzo, ma un vezzo al pari di un piercing o un tatuaggio.
I social sono amplificatori emotivi, e il cyberspazio ha tante sfaccettature: può essere un luogo di supporto, un rifugio di condivisione libera e di espressione emotiva, ma può essere anche territorio di disagio. Per i più giovani è il terreno d’incontro con il mondo e con gli altri, con il rischio di esposizione a situazioni pericolose da emulare, immortalare e condividere alla ricerca del consenso e dei like.
Proprio per queste caratteristiche i social hanno la capacità di ampliare le dinamiche relazionali, diffondendo in modo virale i comportamenti più estremi; la ricerca del consenso alimenta un fenomeno che colpisce sempre più giovani e giovanissimi (in alcuni casi addirittura bambini della scuola primaria!).
È l’ambiguità social che rende l’autolesionismo online un fenomeno più visibile e condivisibile: gli adolescenti hanno bisogno di approvazione sociale, hanno bisogno di sentirsi conformati alle dinamiche del gruppo e temono più di ogni altra cosa l’esclusione sociale.
Le conseguenze sono due. La prima, palese ed evidente, è un livido sul volto, da mostrare con fierezza. La seconda, invisibile e intima, è la trasgressione adolescenziale, la provocazione all’ennesima potenza verso il “potere” del mondo adulto, la rivendicazione del corpo e della possibilità di usarlo come veicolo per comunicare rabbia e desiderio di conformismo.
Che fare?
La prima forma di prevenzione è quella di spiegare ai più giovani come utilizzare correttamente il web, sviluppando spirito critico verso quello che viene visto: educazione emotiva, dialogo, comprensione, vicinanza, atteggiamenti positivi e affettuosi da parte dei grandi. I docenti giocano un ruolo fondamentale, dato che sempre più spesso, come si legge nei fatti di cronaca, gli insegnanti sono i primi ad accorgersi del disagio dei giovani tra i banchi di scuola.
C’è anche da dire che la nuova generazione di ragazzi suggestionabili sfugge dal controllo degli adulti, genitori, docenti o educatori che siano. I loro lividi non sono altro che il segno di quanto siano facilmente influenzabili, nel pensiero e nelle azioni, dal mondo virtuale. Non sono più dei singoli, individui nella comunità, ma sono essi stessi la social-community: si mimetizzano tra i vari trend e si conformano così tanto da ingrigirsi, perdendo la loro unicità.
Elisabetta Carbone
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