Violenza psicologica
Sono stata vittima di violenza piscologica. Me ne sono accorta tardi, troppo tardi, e mi sono ritrovata sola, a leccarmi le ferite.
La violenza psicologica è sottile e invisibile. Non te ne accorgi davvero all’inizio, non me ne sono accorta neanch’io, e mai avrei pensato di poterne essere vittima.
E può accadere davvero a tutti. Arriva, in sordina, piano piano, con un passo felpato. Non se ne accorgono nemmeno gli altri perché non hai lividi visibili, ma solo ferite interne.
Le prime avvisaglie, le prime frasi, quasi non hanno peso.
«È colpa tua se reagisco così»
Inizi a pensare che forse è vero, che sei un po’ esagerata a volte, che forse dovresti essere più accomodante. E ho iniziato davvero ad esserlo, più gentile, più remissiva, sperando che le cose migliorino. Ma non è vero. Non cambierà.
«Non seguire la dieta, ti guardano già tutti»
«Ma ti vesti così per andare al lavoro?»
«Ti metti il rossetto per uscire con le amiche? Stai meglio senza»
Forse ha ragione, metto un jeans più largo e tolgo il rossetto, si preoccupa per me, se ne sentono tante in giro…
«Oggi stai a casa, c’è tanto da fare»
«Non usciamo stasera, rimaniamo davanti alla TV»
Inizio a protestare: io ho voglia di uscire, mi piace andare a fare aperitivo, mi piace gironzolare per Milano, sono anche stati anni di lockdown, ho voglia di fare tante cose… ma forse è stanco, questa volta lo accontento. E anche la prossima. E anche quella dopo.
«Ma la vuoi smettere di stare sempre sui libri, tanto non capisci mai un cazzo»
Dai, manca poco alla laurea, poi avrò più tempo…
«Non perdo un giorno di lavoro per la tua laurea di merda, io non ci vengo»
«È solo l’ennesima rottura di coglioni ‘sta cazzo di università»
Il dolore di non poter condividere i traguardi: da qui in poi il tracollo. Sia mio che suo.
«Lo sai che non vali un cazzo, vero?»
«Sei solo una perdita di tempo»
«Fai schifo»
«Sei una compagna di merda»
«Vivere con te fa cagare, stavo meglio dai miei»
Allora chiudiamola qui, non ha senso continuare… inizio a stare male, le emicranie sono sempre più frequenti, ho spesso la febbre.
«Tanto tu non mi lasci»
Ma io non voglio lasciarti, vorrei solo che tornassi quello di prima, quel ragazzo gentile, premuroso, sempre pieno di attenzioni e di regali, che mi amava e che amava il tempo trascorso assieme. Il ragazzo sorridente, con la battuta pronta, con cui trascorrevo i weekend al lago, bevevo il caffè con la mia famiglia, con cui programmavo una vita insieme.
«Stammi lontana, io dormo sul divano»
«I miei amici ridono di te perché dicono che sei una troia»
Perché non mi difendi davanti a loro? Lo so che non pensi questo di me…
«Non fai un lavoro vero, trovati qualcosa di meglio da fare»
Ma come, a me piace insegnare, è un lavoro vero eccome!
«Hai rotto i coglioni con le tue emicranie di merda, lo so che stai fingendo»
Io sto male davvero, ascoltami… per favore, non comprare il tonno, lo sai che sono allergica…
«Cristo per un po’ di allergia devi chiamare addirittura il medico?»
Ma io non riesco a respirare, ti prego, aiutami!
Silenzio.
Poi è arrivato il silenzio. Il silenzio, quello fa ancora più male. Giornate, settimane, in rigoroso silenzio: io non esistevo più. Nemmeno uno sguardo, un contatto fisico, una parola, un cenno con il capo. Quello è straziante. Quello è un vero braccio di ferro emotivo. Vivere con una persona che ignora la tua esistenza è uno dei dolori più grandi che possano esistere.
Sono diventata un fantasma in casa mia finché, stufo del gioco che lui stesso aveva iniziato, senza spiegazioni ha preso le sue cose e se ne è andato.
All’inizio si passa sopra tutto, in modo delicato, scivolando sul dolore dell’assenza di affetto come se fosse una nebbiolina appena impercettibile. Ma invece era un muro di rimpianti, di rimorsi, di colpa, di delusione.
Si cammina sul filo tagliente della paura come funamboli in equilibrio precario.
Sono passata sopra a frasi dolorose, indicibilmente dolorose, a feste e ricorrenze in solitudine, a vuoti interminabili. Sono passata sul divano occupato solo a metà, la mia. Sul letto grande e freddo, ma è bastato mettere una coperta in più.
Ma ci sono passata sopra con leggerezza, senza far rumore. Le lacrime sono silenziose d’altronde, non fanno chiasso, si perdono nel dolore che se ne va.
Sono passata osservando il mondo che andava avanti mentre io mi sentivo sempre un passo indietro, un mondo che ama le giostre e le feste di paese, che corre libero, che ride, che sbaglia e che se ne fraga di chi resta indietro. Adesso sto accelerando il passo, devo ritornare a vivere nel mondo che tanto amo. Devo tornare al punto di partenza. Devo trovare un modo per risalire sulla giostra, ferita ma viva.
Ci ha provato ancora a contattarmi, lo ha fatto più volte, in modo diretto e tramite social. E so che lo farà ancora. Ma non ha più potere su di me, sulla mia vita e sul mio cuore.
Ormai ho la forza di una sopravvissuta.
Anonimo