Ezio Triccoli, dai campi di internamento alla scherma
1941. La Seconda guerra mondiale era ormai avviata. Il mondo era immerso in una profondissima crisi generale, i poteri forti che dovevano assicurare una società migliore e invece continuavano a violare la pace dei deboli, giostrandoli nel peggiore dei modi.
Nessuno sembrava avere scampo.
Il mondo piangeva.
Erano numerosi i campi di internamento, sparpagliati in qualsiasi parte del globo.
Uno di essi si trovava in Sudafrica, vicino a Cullinan, organizzato dai britannici. Mi riferisco al campo di internamento di Zonderwater, che tra il 1941 e il 1947 sono stati reclusi più di 94.000 prigionieri di guerra italiani. Qui venivano condotti coloro che venivano catturati nell’Africa orientale italiana e nel Nordafrica durante il secondo conflitto mondiale, e trasferiti nel paese del Commonwealth.
Tra quelle migliaia di persone internate vi era un uomo, che nella sofferenza è riuscito a trovare una valvola di sfogo che lo ha portato a fare la storia dello sport.
Quell’uomo è Ezio Triccoli. Classe 1915, di Jesi – in provincia di Ancona, nelle Marche –, ha appreso la scherma da un sottoufficiale inglese durante la sua prigionia nel campo di internamento sopra menzionato, cinque mesi dopo essere stato chiamato alle armi. Prima di ritornare nella sua città di nascita dovranno passare sette anni.
Triccoli si diplomò, dopo un corso triennale, alla scuola industriale di tirocinio di Benito Mussolini di Jesi; fra il 1935 e il 1937, svolse due anni di leva fino ad arrivare, nel 1940, al richiamo alle armi, in Libia. Da lì venne catturato dagli inglesi andando prima in Egitto, poi in Sudafrica.
Lo sport fu un vero e proprio mezzo per sopravvivere in mezzo ai lupi: i prigionieri erano soldati nel pieno della giovinezza, e il colonello Hendrik Fredrik Prinsloo scelse le discipline sportive per tenerli impegnati, così come racconta Carlo Annese nel libro I Diavoli di Zonderwater.
Ezio Triccoli, durante la sua scoperta del talento della scherma che lo avrebbe poi portato ad allenare dei campioni e campionesse italiani, ha tirato con Alessandro Cutonilli, un sergente maggiore romano, Fulvio Mezzadri, fiorettista napoletano, e Guerrino Ceroni, schermitore romagnolo.
Seguendo i suggerimenti dell’anatomopatologo Stefano La Manna, anch’esso prigioniero, Ezio cambiò alcuni gesti per renderli più efficaci.
Riuscì anche a cambiare gli strumenti della scherma insieme a Oberdan Cavasassi, detto Trento, ed Ettore Zagato, diplomato presso una scuola d’arte e mestieri: impugnature anatomiche, nuova forgia delle lame.
Ricevette, nel 1947, la tessera ad honorem di istruttore di scherma e ritornò in Italia portando con sé una sciabola, un fioretto e due maschere. A fine febbraio arrivò a Jesi, e a marzo iniziò ad insegnare scherma fondando una scuola di fioretto.
Teneva molto alle caratteristiche dell’atleta, tanto da adattarvi il suo metodo: “Non sacrificherò mai una caratteristica personale, un movimento naturale, un atteggiamento di gara imprevisto di un atleta con il pretesto che non risponde ai canoni”.
Con gli allievi instaurava un rapporto basato su fiducia e rispetto, e prevedeva per loro una preparazione individuale e personalizzata in base alle loro caratteristiche fisiche e caratteriali, venendo addirittura visto male dalle istituzioni sportive dell’epoca.
Per questo suo modo del tutto nuovo di affrontare lo sport, venne accettato come maestro solo nel 1961; precedentemente venne addirittura bocciato dall’Accademia nazionale di scherma a Napoli.
Nel 1969 venne nominato Cavaliere della Repubblica, mentre l’anno dopo fu maestro accompagnatore della nazionale under 20 femminile di fioretto.
Con il suo metodo, ampiamente criticato, crea però dei campioni che vengono non solo selezionati per la nazionale ma sono poi diventati tutti ori olimpici, tra i quali troviamo: Stefano Cerioni, Giovanna Trillini, Valentina Vezzali, Elisa Di Francesca.
Ezio Triccoli morì il 10 maggio 1996 a Jesi per arresto cardiaco. Grazie al lavoro svolto, ha fatto vincere l’Italia 7 medaglie olimpiche, 15 medaglie mondiali, 15 coppe del mondo.
Sulla vita e la carriera di Triccoli è stato anche realizzato un docufilm dal titolo L’ultimo assalto, la cui voce narrante è Carlo Annese.
Irene Ippolito
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