La guerra del Peloponneso
Sparta contro Atene, una sfida eterna quanto l’eco che hanno portato nel corso dei secoli, da sempre nemiche, da sempre agli opposti. Come concludono la loro lotta?
La Guerra del Peloponneso ha superato in importanza tutte le altre della storia greca. Si trattò, in effetti, dell’ultima fase dello scontro avviato, al termine delle Guerre Persiane, tra la lega continentale capeggiata da Sparta e quella marittima egemonizzata da Atene.
Poiché la Pace dei Trent’anni non aveva risolto il problema essenziale dell’egemonia, era inevitabile che allo scadere della tregua le ostilità riprendessero, e questa volta fino alla sconfitta definitiva e all’esaurimento completo di una delle due parti in lotta. Mentre Atene aspirava sempre più a realizzare l’unità della Grecia, Sparta si adoperava a perpetuarvi l’anarchia indispensabile alla sua politica estera, che era a sua volta dettata da immutabili necessità e tendenze della sua politica interna.
Si trattava solo in apparenza di un paradosso: era la democratica Atene che si mostrava la nemica risoluta dell’indipendenza delle altre poleis; ed era l’aristocratica Sparta che si faceva campione delle loro libertà. La potenza stessa di Atene accresceva il timore e l’invidia delle altre città. Si temeva la sua flotta, il suo potere di ridurre alla fame un avversario col blocco navale; la si invidiava per la sua potenza finanziaria, la si odiava per il suo splendore. Da tempo, in Grecia, si era affermata la convinzione che il regolamento di conti tra Sparta e Atene fosse inevitabile, e che esso avrebbe convogliato e catalizzato, direttamente o indirettamente, tutte le tensioni e tutti i contrasti del mondo ellenico. Anche per questo il conflitto, quando si sarebbe alla fine aperto, sarebbe risultato così violento, lungo e logorante, in certo qual modo totale.
Tra il 446 e il 433, in effetti, l’Ellade era stata tagliata politicamente in due blocchi; alcuni incidenti isolati rivelano la profondità dell’abisso che stava per aprirsi. La prima fase della guerra vera e propria durò una decina d’anni, tra il 431 e il 421, e da essa Atene uscì non solo indenne, ma sostanzialmente vittoriosa. Nel successivo periodo di pace essa commise però la follia di voler conquistare la Sicilia, e la sua spedizione finì con un disastro (420-413). Un mondo di nemici, vecchi e nuovi, si sollevava ora contro Atene, che per nove anni terrà testa ai nemici. Sola contro tutti gli altri Greci, avrebbe forse potuto resistere più a lungo; ma l’oro generosamente profuso dal re di Persia ne determinò alla fine la sconfitta. Nel 404 il suo impero è distrutto.
Pericle era da tempo convinto dell’inevitabilità dello scontro, e mano a mano che ci si allontana dalla pace del 446 la sua politica estera si era fatta più audace ed aggressiva. Nel 437 Atene riprese i suoi progetti occidentali, sebbene ciò comportasse inevitabilmente l’urto con Corinto, contro la quale accordò nel 433 la sua protezione a Corfù. Lo stesso anno, Corinto rispose appoggiando Potidea in conflitto per la Calcidica con Atene, che rispose con l’embargo contro Megara, alleata di Corinto. Sia Megara che Corinto erano membri della confederazione peloponnesiaca, e chiesero perciò il sostegno di questa, e quindi di Sparta. La guerra divenne così inevitabile.
Il primo decennio di guerra, cosiddetta “archidamica”, che porta il nome del re spartano Archidamo, fu la prima fase della lunga guerra del Peloponneso. Il segnale della lotta fu dato da Tebe, che attaccò di sorpresa Platea, ma gli Ateniesi li respinsero e colpirono Megara. Nell’estate del 430 sopraggiunse però la catastrofe: la peste scoppiò tra l’immensa popolazione concentrata nella città di Atene. In pagine memorabili, Tucidide ha descritto il tremendo flagello. Lo storico ha anche narrato come gli Ateniesi quasi di colpo si rivoltassero contro l’uomo che da anni li guidava, gli togliessero il potere e lo colpissero con un’ammenda. Inutilmente i suoi concittadini resero nel 429 fiducia a Pericle, riportandolo al potere: questi, che aveva perduto due figli nell’epidemia, era ormai un uomo distrutto, che morì poco tempo dopo, colpito dall’epidemia. Perdita irreparabile, quando in una crisi come quella occorreva più che mai un capo. Moriva così il “signore del demos”, che dal 443 era stato acclamato stratega ogni anno. Quel gran signore orgoglioso e incorruttibile, che aveva incarnato con tanta efficacia e successo l’Atene democratica, ma che aveva saputo pure moderarne gli eccessi, che aveva imposto la pace interna e la guerra esterna, non sarebbe infatti stato sostituito da nessuno.
Malgrado gli strascichi della peste e la rivolta di Mitilene, Atene continuò la lotta, sia pure tra alterni successi. Ma mentre Sparta chiedeva la pace, Cleone insistette per la guerra, occupando Citera e invadendo la Beozia. Quest’ultima impresa si concluse però con un disastro nel novembre 424. Nel 421, nella stanchezza generale, Sparta e Atene stipularono la pace di Nicia, che avrebbe ristabilito lo status quo. Con la pace si stabiliva una tregua di cinquant’anni, la restituzione dei prigionieri e delle città conquistate, inoltre Atene si impegnava a sostenere Sparta in caso di ribellione degli Iloti.
Ma si trattava solo di una tregua. Innanzitutto, molte città alleate di Sparta (Corinto, Megara e Tebe) si rifiutarono di accettare la pace, mentre altre, come Argo, rimasta sin qui neutrale, cercava di approfittare dell’indebolimento dell’egemonia spartana. A questo punto comparve sulla scena Alcibiade. Questo personaggio, Alcmeonide per parte di madre, nipote di Pericle e discepolo di Socrate, eccellente oratore, ambiziosissimo, amorale, era destinato a dominare la scena per un ventennio. Dopo alcune imprese infelicemente condotte, propose infine agli Ateniesi di conquistare la Sicilia. Era un’idea capace di affascinare un popolo, come quello ateniese, che si abbandonava spesso ai miraggi. In realtà, da quando Temistocle l’aveva dotata di una flotta, Atene aveva guardato all’Occidente.
La guerra così riprese: tra l’entusiasmo generale, la flotta partì dal Pireo. Si erano riuniti, con preparativi imponenti, i migliori equipaggi e una fanteria scelta di oltre cinquemila uomini. Dal canto suo, Siracusa, turbata da torbidi interni, non era pronta per la guerra. Se gli Ateniesi fossero intervenuti prontamente, avrebbero potuto sorprendere la città nemica. A questo punto, la spedizione appariva chiaramente votata al fallimento. Nel settembre del 413, accerchiati, gli Ateniesi dovettero arrendersi, Nicia fu giustiziato e i superstiti, dopo essere stati detenuti nelle Latomie, venduti come schiavi. Mai, fino ad allora, uno Stato greco aveva subito un simile disastro.
Alcibiade, rifugiatosi a Sparta, consigliava i nemici di Atene le tattiche giuste per sconfiggere la città: fissare una guarigione nell’Attica e occupare la fortezza di Decelea, in modo da bloccare e isolare Atene. Si apriva la terza fase della guerra del Peloponneso: la guerra deceleica. Gli Spartani seguirono il consiglio di Alcibiade, che giustificava il suo tradimento con il fatto che in quanto aristocratico non accettava la democrazia se non a condizione di poterla controllare e governare. L’esercito spartano si insediò in Attica, che poteva devastare sistematicamente, privando gli Ateniesi delle rendite della terra e delle miniere di argento. Atene, dunque si trovò in seria difficoltà, privata come era delle risorse della chora e di buona parte della flotta, distrutta in Sicilia. Ma per vincere definitivamente Sparta avrebbe avuto bisogno di una flotta, di cui però non disponeva. Si prospettò allora un patto con la Persia, di cui Alcibiade fu promotore.
Con un ultimo, disperato sforzo, Atene riuscì ad armare una nuova flotta di 100 triremi, che distrusse alle Arginuse la flotta spartana (406). Ma Atene si trovava nella scomoda situazione di dover combattere su due fronti, per terra, dove il re spartano Agide devastava l’Attica, e contemporaneamente anche lottare per mare. Cominciò così ad arruolare anche gli schiavi, con la promessa della libertà. Infine, Spartani e Persiani sconfissero definitivamente gli Ateniesi di Conone a Egospotami, nell’agosto del 405.
Questa volta era davvero la fine. I nemici posero l’assedio alla città nel novembre di quell’anno. Durante tutto l’inverno la città sopportò eroicamente l’assedio. Alla fine, preso il sopravvento gli oligarchi, si aprirono le trattative di pace. Questa impose la distruzione delle fortificazioni del Pireo e delle Lunghe Mura, l’abbandono di tutti i possedimenti, la consegna di tutte le navi, il richiamo di tutti gli esiliati, lo scioglimento della lega di Delo e infine l’ingresso di Atene nella lega peloponnesiaca. Era il 22 aprile del 404, data che segnò la fine di tutta una fase storica.
Lucia Russo
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