Costa Concordia: storia umana di un naufragio
Non tutti gli anniversari ricordano eventi positivi. Il 13 gennaio è uno di questi.
Per chi c’era, anche se bambino, le immagini che si trasmettevano in quei giorni in televisione sono rimaste impresse come quelle dei bombardamenti dell’11 settembre alle Torri Gemelle.
Sui social regnava il paragone di due fotografie accostate: due navi enormi piegate su un fianco e sommerse per metà. Una era il Titanic, affondato nel 1912. L’altra? La Costa Concordia.
Nel 2012 ci si aspettava finisse il mondo. Il mondo non è finito, non per tutti. Per alcuni invece sì.
La notte del 13 gennaio 2012, la nave da crociera Costa Concordia, con a bordo 4.229 persone, naufraga di fronte all’Isola del Giglio, la seconda isola più grande dell’arcipelago toscano.
A dieci anni di distanza dalla tragedia, il giornalista Pablo Trincia, nel podcast Il Dito di Dio – Voci dalla Concordia, ripercorre le ore che ne hanno preceduto il dramma, attraverso le testimonianze di chi quella notte era lì, prima sulla nave e poi a terra. Ci sono passeggeri, membri dell’equipaggio, soccorritori e abitanti del Giglio: “Storie di destini intrecciati e di legami nati in quelle ore drammatiche che non si sono mai spezzati”. Ne consiglio l’ascolto.
La nave Costa Concordia lascia il porto di Savona venerdì 6 gennaio 2012 per cominciare il tour del Mediterraneo, con destinazione Barcellona. Pablo Trincia, nelle nove puntate, presenta i protagonisti e snocciola le vicende familiari e sentimentali di chi aveva deciso di trascorrere alcuni giorni in crociera, affidandosi ad una delle più note e stimate compagnie.
Si parte. Tra i passeggeri, ci sono la famiglia Brolli, figli e nipoti che si sono imbarcati insieme ai nonni per festeggiare il loro cinquantesimo anniversario di matrimonio, e Antonella Folco, che ha deciso di accompagnare i suoi genitori. Il viaggio continua. Al porto di Cagliari, si imbarcano altre persone, un gruppetto del paese sardo di Portoscuso, tra cui Alessia Sirigu e la famiglia Masia. Ancora la Concordia naviga e prosegue, arrivando a Palermo, a prendere, tra gli altri, Stefania Vincenzi e sua madre Maria Grazia.
Nel frattempo, accanto alle descrizioni della sala ristorante, dell’abbondanza e delle possibilità di intrattenimento, vengono mostrati i retroscena: il maître della nave chiede un favore al comandante, il saluto all’Isola del Giglio. Si introduce così colui il cui comportamento ha monopolizzato le testate giornalistiche e le discussioni per mesi. Non ha bisogno di presentazioni, è Francesco Schiettino.
Si naviga fino a Civitavecchia. Le ore che mancano all’impatto sono sempre meno. Durante la sera del 13 gennaio, proseguendo in direzione Savona, il capitano prepara l’equipaggio all’inchino al Giglio, come promesso.
Sono le 21:45. Mentre i passeggeri si stanno godendo la serata, alcuni nella sala ristorante, altri già fuori o in cabina, la nave comincia a tremare: nelle manovre di avvicinamento al Giglio, la Concordia ha colpito le Scole, un gruppo di scogli che si trovano a pochi metri dalla costa dell’isola. L’urto provoca uno squarcio nello scafo di circa 70 metri. L’impatto sarà definitivo.
Mentre nelle sale di comando si valuta l’entità dei danni, i passeggeri vengono rassicurati e invitati a mantenere la calma, in attesa di ulteriori indicazioni. In pochi minuti, diventa chiaro quanto la situazione sia grave, ma l’allarme non viene ancora confermato. Nonostante questo, sulla nave si diffonde il panico, alcuni passeggeri cominciano a recuperare i giubbotti salvagenti, altri si precipitano alle scialuppe di salvataggio, altri ancora corrono verso le cabine per raggiungere i propri cari, famiglie e amici si perdono di vista e si separano. Tra loro, ci sono persone che non si ritroveranno più.
Nel frattempo, la Costa Concordia, ormai inclinata, si è appoggiata, spinta dal Grecale e dalle correnti, sugli scogli della Gabbianara. Sull’isola, gli abitanti si prodigano al meglio per soccorrere i naufraghi. A bordo, sono ancora centinaia i passeggeri bloccati, tra gli sforzi di soccorritori, ufficiali e personale della nave di portarli in salvo. Al molo, giungono le prime scialuppe. Tra queste, viene avvistato anche il capitano Schiettino. Insieme alle scialuppe, l’isola comincia ad accogliere, ora dopo ora, i morti. Trentadue persone morte in mare, decine i feriti e due i dispersi.
La tragedia continuerà per i giorni e i mesi successivi al naufragio, nelle ricerche disperate di chi non si rassegnava a non avere un corpo su cui piangere.
Il processo per il naufragio viene chiuso il 12 maggio 2017, con la condanna emessa dalla Corte di Cassazione nei confronti di Francesco Schettino di 16 anni di reclusione per omicidio colposo plurimo, avendo il comandante abbandonato la nave prima di assicurare la vita dei viaggiatori e del personale di bordo.
Di quel giorno, rimangono il dolore e la memoria, la solidarietà di persone pronte ad accogliere, senza farsi domande, e di altre persone pronte a scappare, anche queste senza farsi domande, nel tentativo di mettersi in salvo, senza considerare quanto sia più difficile scappare dal rimorso e dalla colpa.
Di questa vicenda, rimangono discorsi a mezza voce, grida al telefono, pesanti silenzi, incomprensioni e ambiguità. Insieme a questi, rimane anche la consapevolezza di quanto la responsabilità pesi e i naufragi, più che alle imbarcazioni, spesso appartengano agli uomini.
Stefania Malerba
Leggi anche: Costa Concordia: cronaca di un naufragio annunciato
Copertina: illustrazione di Edoardo Iodice