Charlotte Perkins Gilman, la carta da parati gialla
Una stanza tutta per sé…con le sbarre
Charlotte Perkins Gilman, la leggiamo, grazie alla casa editrice “Galaad Edizioni” con la traduzione di Luca Sartori e l’introduzione di Alessandra Calanchi. La carta da parati gialla, sono due cose in uno: è una parete ed è gialla, tutto questo dice qualcosa: è una prigione.
La Gilman, scrittrice americana e non (inglese) scrive The yellow Wall- paper nel 1892, questo romanzo, è stato negli anni riscoperto da una prospettiva femminista.
Leggendo quaderno proibito (1950) di Alba de Céspedes, non ho potuto fare a meno di notare una forte analogia con The yellow Wall- paper, entrambe scrivono clandestinamente. Scrivono ‹‹di nascosto›› in ambedue i romanzi, non solo queste sono mogli e madri, ma vivono anche una vita strettamente a contatto con la scrittura, quasi per replicare il loro diritto di avere un’opinione, di ‹‹lamentarsi››.
Il romanzo della Gilman non solo parla di un evento, che ai suoi tempi, non era stato ben “diagnosticato”, quello della depressione post-partum. Una condizione che aveva colpito anche l’autrice.
La Gilman non solo parla di una donna che non ha un nome, pure di una donna che viene segregata dal marito con lo scopo di farla ‹‹riposare››.
La protagonista assieme al marito si trasferisce in campagna, fin qui potrebbe andare tutto bene, se non che, la donna vive in una stanza con solo la vista della ‹‹carta da parati gialla››. La stanza viene minuziosamente descritta.
“È una stanza spaziosa e arieggiata che occupa quasi tutto il paino, con finestre che si affacciano su ogni lato, aria e sole a volontà. In origine era la camera dei bambini, poi dev’essere stata una stanza dei giochi, e infine una palestra. Lo dico perché le finestre hanno le sbarre per i bimbi piccoli, e ci sono anelli e attrezzi alle pareti. La tinteggiatura e la carta da parati fanno pensare che sia stata usata da una scolaresca di maschi. È strappata – la carta- in grandi lembi tutt’intorno alla testata del mio letto, più o meno fin dove riesco ad arrivare, e ha anche un enorme buco giù in basso, sull’altro lato della stanza. Non ho mai visto una carta da parati più brutta in vita mia.” (‘pp. 57-59)
Una stanza per niente rassicurante, tutto lascia trasparire una prigione, non solo per gli elementi qui delineati come le finestre, (solo finestre) con delle sbarre e una carta da parati gialla, quasi a simboleggiare la sua “malattia”. Tutto viene visto dallo sguardo della protagonista di cui non sapremo mai il nome, non ha il diritto neanche ad essere chiamata con il suo nome, se non “ochetta del suo cuore”. Questo è un altro elemento in comune con quaderno proibito, anche qui, la protagonista Valeria, viene guastata dal suo nome con un altro “mammà” da suo marito. A lei, alla protagonista creata dalla Gilman, viene impedito di scrivere, di prendere una penna e di leggere, se desiderava guarire. Ecco, non solo le viene impedito di fare queste cose, di prendersi la libertà di “creare”, ma anche di “immaginare”. A John, le “fantasticherie” non piacevano…
Il mondo creato su queste donne, è un mondo idealizzato, fittizio, come se loro desiderassero solo di “riempirsi” dallo spazio domestico. Il segreto è questo: desiderio. Loro non hanno il diritto di desiderare, di far percepire con sangue il proprio desiderio. L’unico desiderio socialmente accettabile è quello di ricoprire il ruolo di madre e moglie perfetta.
La protagonista senza nome non può stare con suo figlio, John lo impedisce. Accetta di buon grado la sua decisione, si rassegna. Le donne sia della Gilman e della Céspedes, si rassegnano.
Per tutto il romanzo non c’è una parola rassicurante, che faccia percepire che lei stia guarendo. Il marito e il fratello di lei sono medici, le hanno caldamente consigliato di riposare.
- Dovere; peso; sopraffare; controllo, sbarre, immobile, senza fare rumore, rimprovero.
Lo spazio domestico in cui essa è reclusa non ha nulla che lasci trasparire la sicurezza come il matrimonio. L’unico momento in cui può lasciarsi andare, è la notte. La notte diventa per lei come anche per Valeria (Alba de Cespedes, 1950) l’unico momento in cui possono respirare di sollievo, quasi. È proprio la notte che la protagonista dal nome negato vede strisciare la carta da parati gialla. È l’unica cosa che vede di giorno. Il muro assume non solo qualcosa di invalicabile per la protagonista, vale a dire, che non può oltrepassare ‹‹le finestre con le sbarre››, ma anche lo strumento a cui sfuggire dalla segregazione creata ad hoc dall’ ‹‹amorevole›› marito John. È un paradosso. Grazie al The yellow Wall- Paper sfugge dal controllo del marito, affronta stoicamente la morte.
“Di notte, con qualsiasi tipo di luce, al crepuscolo, a lume di candela, con la lampada accesa, e peggio di tutti al chiaro di luna, diventano sbarre! La figura davanti, voglio dire, e la donna che le sta dietro si vede come non mai. […]. Di giorno è sottomessa, tranquilla. Immagino sia il disegno a tenerla ferma. È un vero mistero. Mi fa stare quieta per ore.” (p. 105)
Emilia Pietropaolo
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