Ci sarà un futuro per le donne in Italia?
Sia ben chiaro: nessun paese è perfetto e in nessuno è stata raggiunta la parità di genere.
Tuttavia, la direzione verso cui si sta dirigendo l’Italia in merito al suddetto tema non è certamente quella giusta.
Qui non si parla di avanzare con fatica, qui si parla di remare contro.
Il discorso di Matteo Bussola a Sanremo ha sollevato moltissime polemiche perché è l’ennesima prova del fatto che non si siano ancora comprese le cause sottostanti a problemi come il femminicidio e la violenza di genere, nonostante le battaglie portate avanti finora.
La favoletta della violenza nelle relazioni come frutto di pazzia amorosa o di bestialità deve finire e soprattutto, non si può pensare di risolvere il problema sociale e culturale con un “volemose bene” generale. Già, perché risulterà meno poetico ma col femminicidio c’entrano ben poco parole come “accanto” o “insieme”, e molto di più “società patriarcale”, “sistematicità”, “paradigma culturale”.
Il fatto che proprio a Sanremo, evento nazionale tra i più seguiti (forse il più seguito) in Italia, si sia scelto di parlare di femminicidio in questo modo è gravissimo perché allontana sempre di più il discorso da quelle che dovrebbero essere le vere e prime preoccupazioni del nostro paese.
Quali sono le “vere preoccupazioni”? Ad esempio l’esiguità dei centri anti violenza, ben 385 per 30 milioni di donne secondo i dati del 2022, un numero notevolmente inferiore a quelli che per legge dovrebbero esserci (ovvero 1 ogni 10 mila abitanti ).
Le richieste di aiuto nei confronti degli stessi però non sono diminuite, anzi: secondo il report annuale di Donne in Rete 2023 le donne accolte nel 2021 nei CAV sono state 20.711, ovvero il 3,5% in più dell’anno precedente. La maggior parte del sostegno ai centri viene dal volontariato o da fondi pubblici insufficienti (dei quali circa l’80 % proviene dalle Regioni).
L’importanza dei centri anti violenza ce la comunicano anche i dati del 2023 Women, Peace and Security Index: l’Italia non è un luogo sicuro per le donne, infatti si posiziona al 34esimo posto nel mondo ( la Francia al 24esimo, la Spagna al 27esimo e la Germania al 21esimo) ed al 24esimo in Europa.
Secondo dati 2022-2023 della Direzione Centrale di Polizia Criminale, i reati come atti persecutori (stalking), maltrattamenti contro famigliari e conviventi e violenza sessuale seguono un andamento decrescente (intorno al -12 o -13%) ma la percentuale di donne che ne sono vittima rimane costante.
Questi dati dovrebbero farci capire che forse stiamo un attimino sbagliando il tiro e che non è tanto l’amore che “salverà il mondo”, quanto delle politiche educative, economiche e sociali rivolte al sostegno delle donne e al contrasto della discriminazione.
Questo governo è evidentemente inadatto al compito: lo dimostra la brillante idea di stanziare lo 0% dei 25 miliardi di euro della legge di bilancio per contrastare la violenza di genere. L’opposizione ne ha stanziati 40 milioni (ovvero tutto quello che aveva a disposizione) per finanziare reddito di libertà (contributo economico che l’INPS dà alle donne vittime di violenza, sole o con figli), i CAV, il recupero degli uomini violenti e risorse per formare gli operatori.
È già qualcosa, ma non abbastanza. Prevenzione? Educazione sessuale nelle scuole obbligatoria? Quelle no, d’altronde ci sono altri problemi più importanti…tipo l’economia.
Diamo allora uno sguardo alle politiche adottate da paesi come la Danimarca, paese del Nord con uno dei mercati del lavoro più floridi.
Nel 2013 il suddetto paese ha adottato una serie di atti normativi per promuovere l’uguaglianza di genere sul lavoro ed esempio equilibrio di genere nei consigli amministrativi, il che ha portato ad una migliore comprensione e gestione delle diversità nelle aziende.
Altri punti di forza della Danimarca sono: i congedi parentali (un anno di lavoro retribuito invece dei 5 mesi in Italia); il lifelong learning ovvero percorsi di formazione per adulti finanziati dallo Stato; educazione sessuale obbligatoria che include temi come il consenso, questioni LGBT, media digitali e soprattutto aspetti emotivi e sociali.
Pensate che tutte queste belle cose non c’entrino con l’economia? Allora vediamo i dati dell’EIGE (Istituto Europeo per l’uguaglianza di Genere) in merito a politiche femministe: miglioramenti dell’uguaglianza di genere creerebbero nuovi 10,5 milioni di posti di lavoro nel 2050, da cui trarrebbero vantaggio sia le donne sia gli uomini. Entro il 2050, una migliore uguaglianza di genere contribuirebbe ad un aumento del PIL pro capite dell’UE di 6,1-9,6 %, pari a 1,95- 3,15 trilioni di euro. L’aumento sarebbe evidente già nel 2030, quando il PIL pro capite sarà aumentato fino al 2%. Quest’aumento dipende principalmente dal miglioramento del tasso di occupazione delle donne e della loro progressione in lavori più produttivi nei settori STEM.
Avremmo poi una maggiore competitività sul mercato, con aumento delle esportazioni dall’1,6% al 2,3% nel 2050 e diminuzione delle importazioni dallo 0,4% allo 0,7%.
Non c’è bisogno di preoccuparsi comunque, i risultati delle scelte di questo governo e la cecità di questa società li vedremo quest’anno e negli anni a venire. Auguro a tutte noi di vederli da lontano e di non doverli patire. Questo Ken Mojo Dojo Casa House sta durando un po’ troppo.
Sofia Seghesio
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