Verso l’infinito e over the top!
di Federico Mangione
A settembre è stato pubblicato il mio articolo “Teleinfluenza” (per leggere l’articolo clicca qui), in cui cercavo di descrivere l’evoluzione della televisione in Italia. Per approfondire la questione, in occasione della Giornata mondiale della televisione, ho avuto il piacere di intervistare la prof.ssa Veronica Innocenti, coordinatrice del Corso di Laurea Magistrale in Cinema, televisione e produzione multimediale (CITEM) all’Università di Bologna.
Veronica Innocenti, oltre ad essere coordinatrice del Corso di Laurea Magistrale in Cinema, televisione e produzione multimediale, è titolare delle cattedre di Economia e marketing dei media audiovisivi al CITEM e di Storia della radio e della televisione al DAMS. Ha inoltre progettato e curato (con il collega Paolo Noto) il ciclo di incontri “Aspettando Media Mutations”, dedicati al cambiamento nell’ambito dei media e inseriti nel contesto degli eventi del Centro Dipartimentale di ricerca applicata “La Soffitta”.
Professoressa la ringrazio per avermi concesso questa chiacchierata. Vorrei cominciare chiedendole di fare una panoramica sull’evoluzione della televisione, soprattutto negli ultimi 20 anni, in Italia.
“Beh sulla situazione italiana, che riflette una situazione che non è solo del nostro paese, viviamo il cambiamento più grosso degli ultimi vent’anni, dall’inizio degli anni duemila in poi, ossia la moltiplicazione dell’offerta e quindi l’arrivo a maturità di una fase di abbondanza. L’idea è un po’ quella di essere arrivati ad un’offerta veramente molto articolata in termini di contenuti audiovisivi.
La situazione italiana è forse un po’ più indietro rispetto ad altre internazionali a causa della grande abbondanza di canali che tradizionalmente la nostra televisione ha a partire dalla liberalizzazione del 1975. È una delle ragioni per cui, per esempio, negli anni ’90 fatica ad entrare nelle abitudini degli italiani la televisione a pagamento.
Anche Sky non si afferma in tempi molto rapidi, proprio perché ci sono una serie di altre offerte. Una delle cose che io noto è una convivenza molto pacifica tra tanti modi di fruire di contenuti audiovisivi diversi. Si va affermando anche l’abitudine di acquistare contenuti o in Pay-Per-View o dietro forme di subscription, però anche questa è abbastanza lenta, perché comunque c’è una concorrenza molto forte anche di quello che è free.
Poi è chiaro che ci siano anche contenuti particolari, chiamiamoli premium, su cui si gioca una battaglia più intensa. Pensi ai diritti per il calcio e a tutta la questione sport su cui non entro perché non sono assolutamente esperta.”
A proposito, appunto, di questo passaggio al PPV: adesso sono arrivati in Italia Netflix, Prime video, c’è Infinity TV da qualche tempo…
“C’è Chili. Ci sono diverse opportunità per il fruitore. Quello che io noto su questo punto è, intanto, che esiste ancora un digital divide. Da un lato è anagrafico, quindi c’è una difficoltà da parte di un certo tipo di pubblico a rapportarsi facilmente con questi strumenti, che a volte richiedono un minimo di dimestichezza informatica che non tutti hanno. Dall’altro lato c’è anche un digital divide di tipo tecnologico.
Ci troviamo in una situazione dove, anche geograficamente, l’Italia è un paese in cui non c’è una copertura di banda larga così capillare da permettere a tutti, anche nelle periferie, di avere accesso ai contenuti di operatori over the top (OTT). Poi, appunto, pagare un abbonamento è una cosa che non sempre viene facile ad una certa fascia di pubblico.
Devo dire che quello che ho notato rispetto ad alcuni operatori OTT, soprattutto rispetto a Netflix, che è quello che forse conosco meglio, è che parlando, ad esempio, con gli studenti – quindi con una fascia d’età più giovane – la flessibilità di abbonamento, il fatto di poter disdire in qualunque momento, il prezzo basso e il poter condividere un abbonamento tra più persone, sembra rendere più diffuso questo tipo di abitudine. Sto parlando, però, sempre di un posto, come Bologna, dove è facile avere accesso a questi contenuti dal punto di vista dell’infrastruttura.”
Restando sulla questione degli operatori OTT, mi focalizzo su Netflix e Prime Video rispetto alla loro nascita: quali sono i fini delle due aziende rispetto al contenuto audiovisivo?
“Questa è una domanda molto sensata. Io credo che per Netflix sia una mission aziendale che si è evoluta nel tempo. Netflix nasce come servizio di noleggio di DVD e quindi, nel momento in cui il supporto fisico comincia a non essere più necessario, Netflix ridimensiona la sua attività arrivando ad avere un grande catalogo digitale e poi entrando nella produzione di contenuti, che diventa una di quelle attività particolarmente remunerative per una società di questo tipo.
Produrre i propri contenuti vuol dire, innanzitutto, gestirli in maniera autonoma e quindi essere svincolato da quegli accordi necessari sui diritti con i produttori di contenuti da cui Netflix comunque acquisisce tutta una serie di prodotti che mette in catalogo. Per Amazon il discorso secondo me è diverso.
Io penso sia legato a un tipo di accreditamento e di valore aggiunto che il prodotto culturale, in questo caso audiovisivo, dà a un operatore che occupa un settore completamente diverso. Ma, a mio avviso, non è il core business dell’azienda. Per Netflix lo è, acquisire diritti e avere propri prodotti. Per Amazon il core business è tutt’altro: è venderle qualsiasi cosa e fare in modo che lei faccia una subscription al servizio Prime per i suoi acquisti.”
Ricordo che a lezione ci disse una cosa riguardo la pirateria. Se non erro, ci raccontò come ad un convegno lei affermò come la pirateria non abbia questa grossa influenza rispetto a quelli che sono gli introiti del cinema.
“Non lo dico io, ma lo dicono alcuni studi condotti da ricercatori che si occupano di pirateria. Questi dimostravano come i film, per esempio, più scaricati illegalmente in un determinato anno, fossero anche gli stessi che si trovavano nella top ten degli incassi di quello stesso anno.
Ma questo non toglie pubblico alla visione in sala, proprio perché, molto spesso, da quello che gli studiosi del fenomeno hanno riscontrato, chi non va in sala a vedere un film, non ci sarebbe andato ugualmente.
Per cui non è uno spettatore sottratto alla sala, è semplicemente uno spettatore in più che guarda il film e quindi magari crea anche una cascata informativa positiva rispetto a quelli che sono i vari contatti con cui ha a che fare quotidianamente e quindi magari porta altri spettatori al cinema.”
Spostandoci, invece, oltreoceano. Negli USA, quello che succede un po’ da sempre, si pensi al famoso Decreto Paramount, è la questione dell’integrazione verticale e, ultimamente, sempre più spesso anche orizzontale. Recentemente c’è stata l’acquisizione, da parte di Disney, della FOX, che arriva poi dopo quella della Lucas Film, della Marvel etc. Il futuro è questo? Le Major che fanno piazza pulita della concorrenza?
“Il futuro è questo già da un po’. Nel senso che c’è stato un grande cambiamento dagli anni Ottanta ad oggi. Il 90% dei contenuti dell’industria culturale sono prodotti, soprattutto per quel che riguarda l’audiovisivo, da sei grandi compagnie.
Sono anche convinta, però, che, siccome stiamo parlando di giganti di questo settore, stiamo anche parlando di una consapevolezza, che queste grandi conglomerate hanno, rispetto alla diversità che c’è nei target di pubblico.
Quindi nonostante ci siano così poche realtà e così grandi, il numero di film che escono al box office, quindi che vengono distribuiti nelle sale cinematografiche, è piuttosto elevato ed è cresciuto rispetto a quello che poteva essere vent’anni fa.
Per cui, alla fine, non sono un’apocalittica, sono abbastanza integrata, per cui sono convinta che la diversità sia necessaria a queste aziende, perché, altrimenti, poi smettono di vendere.”
Va bene. Abbiamo toccato tanti temi, quindi la ringrazio ancora una volta per la sua grande disponibilità a concedermi questa intervista che è stata davvero interessante e può spiegare a tanti come si sia evoluto il mondo dell’intrattenimento audiovisivo.
“Sì, è stato un discorso denso. Poi se avessi la palla di vetro e potessi fare delle previsioni sarei ricchissima, invece non è il mio caso (sorride, ndr). Grazie a lei!”
Per esigenze editoriali non ho potuto riportare l’intera intervista fatta alla professoressa Innocenti, ma chi fosse interessato ad approfondire ulteriormente il discorso, può leggere l’intervista integrale cliccando qui.