Lacy M. Johnson, il corpo ricorda: la perdita del corpo
Il 5 luglio del 2000 sono stata tenuta prigioniera per cinque ore in una stanza insonorizzata di un appartamento seminterrato preso in affitto al solo scopo di stuprarmi e uccidermi
The other side di Lacy M. Johnson è uno di quei romanzi che non vorremmo mai leggere, eppure, ne abbiamo bisogno: abbiamo bisogno di sentire la Voce. Quello che è accaduto a Lacy, poteva accadere a chiunque di noi.
Il romanzo il corpo ricorda di Lacy pubblicato da NN editore e tradotto da Isabella Zani, è un memoir su quello che è accaduto dopo il sequestro e la violenza sessuale.
È stata la storica Joanna Burke con Rape (2007) a parlare dello stupro, degli stupratori e delle vittime.
“Chi commette violenze sessuali, non si accontenta di infliggere semplicemente sofferenza: chi provoca ferite insiste che anche le vittime danno significato alla loro angoscia” (Bourke, 2007)
Le ferite di una violenza sessuale si nutrono selvaggiamente del corpo, un corpo che muta in una memoria vivente del passato e del presente. Un tatuaggio permanente, cancellabile solo narrando. Lacy M. con The other side non cerca l’abbraccio, vuole solo riappropriarsi del proprio corpo, e per farlo, inizia a scrivere: si riprende la sua vita. È una sopravvissuta. Il romanzo colpisce per la forza che permette al lettore di abitare il suo corpo, di percepire la sua sofferenza.
Nel memoir di Lacy M. Johnson centrale diventa la dualità del corpo che subisce e reagisce al ricordo della violenza. Centrale è il corpo di lei che si sposta fisicamente e con la mente, non è stabile ma fuggevole.
“Il modo in cui dopo che l’altro è scomparso, il corpo prosegue: accanto, sotto, sopra, da. L’ombra, il fantasma, la traccia. Habitus: seconda natura, una memoria tanto profonda che il corpo ricorderà sempre” (38)
Studentessa sequestrata e violentata dal suo ex, un docente di spagnolo, le parole diventano una protesta, una salvezza per lei. Le parole non fuggono dalla carta, permangono, mentre il corpo ripercorre il passato. Ricordare il passato diventa il mezzo per lenire le ferite, per guarire, attraverso la scrittura.
“Questa storia mi dice chi sono. Mi attribuisce significato. E io voglio disperatamente significare qualcosa” (157)
Il romanzo non permette al lettore di provare un sentimento diverso dalla rabbia, la stessa che prova Lacy, lei che deve fare i conti con il suo corpo e con i ricordi. Come sottolinea nel romanzo, un passaggio, a mio avviso, importante: “come donna, devo tenermi sotto costante sorveglianza: che aspetto ho quando mi alzo la mattina, e mentre giro per il supermercato facendo la spesa, e mentre corro con il cane al parco? […] Ho imparato a vedermi come mi vedono gli altri: come un oggetto da osservare e valutare, una veduta” (65) è la sensazione che noi donne proviamo ogni giorno, diventiamo noi stesse guardie, ci sentiamo ‹‹sotto costante sorveglianza››, veniamo sorvegliate e sessualizzate sin dall’infanzia. È il corpo che narra, che subisce le frecciatine sottili, capaci di colpire nell’animo, da parte del suo stupratore-conosciuto.
“Va male fin dall’inizio: lui mi dice di stare più dritta, accavallare le gambe, aprirle di più. Mi dice quando parlare, cosa dire, ma poi non ascolta. Se esito o faccio resistenza, si prende comunque quello che vuole. Mi tiene ferma mentre io urlo e lo supplico di smettere. Grido di dolore vero. È così che mi vede lui: uno specchio che sempre riflette il suo potere” (66)
Fugge da lui, lo lascia, inizia il conto alla rovescia: l’estate è finita. Il 5 luglio del duemila, viene sequestrata e seviziata in una stanza insonorizzata. The other side, così recita il titolo originale, è tutto un correre alla ricerca di una direzione giusta da prendere. È scavalcare e ripercorrere il passato, rincorrere incubi-sogni, è affrontare la paura con la parola, questo è il memoir di Lacy M. Johnson. Affronta lo stupratore nel peggiore dei modi, lui che le diceva quando parlare-zittirsi, con l’arte della parola.
Il corpo marchiato cerca di reimparare ad amare le attenzioni altrui, di fare i conti con il riflesso del proprio corpo nello specchio.
“Come si può rivendicare il corpo se è visibile solo allo specchio: un riflesso del corpo, esterno e invertito, un’immagine che è simultaneamente mia e non mia. […] una donna che è morta, una donna che continua a vivere” (61)
Emilia Pietropaolo
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